Ciò che è accaduto a Milano in zona Corvetto, dove alla morte del 19enne egiziano Ramy Elgaml sono seguiti giorni di disordini con scontri tra giovani e adulti arrabbiati contro la polizia e con distruzioni di cassonetti, auto e di tutto ciò che veniva a tiro dei dimostranti, è il segnale preoccupante di un processo di convivenza che fatica a realizzarsi, anche se vi sono tutte le potenzialità per farlo, ma bisogna saperle riconoscere e portarle a maturazione.



I fatti accaduti sono gravi, vi sono elementi penali su cui spetta alla magistratura il giudizio, questo però non ci può esimere dal riconoscere il segnale d’allarme che viene dal Corvetto e dall’intercettarlo. Ciò che Milano ha fatto emergere è una domanda molto forte, è la domanda di che cosa significhi oggi uno spazio umano dove non possa più succedere che un ragazzo non si fermi all’alt della polizia, dove la polizia spari e ci siano giovani che mettono a soqquadro un quartiere. Uno spazio umano in cui uno sia considerato per quello che è e abbia un valore, dove stia bene con gli altri, dove non ci siano italiani e stranieri, ma persone che si guardano aspettando gli uni dagli altri qualcosa di buono.



Si potrebbe immaginarlo questo luogo, sarebbe utopia e ai giovani del Corvetto non servirebbe a nulla. In realtà luoghi così già ci sono ed è la cosa che oggi possiamo dire ai giovani del Corvetto, invitandoli ad andare a vederli per capire che è possibile vivere insieme e vivere una valorizzazione reciproca.

Uno di questi luoghi è la realtà di Portofranco, che a Milano è presente dal 2000 in viale Papiniano 59 e che aiuta i ragazzi e le ragazze delle superiori ad affrontare le loro difficoltà di studio. I circa 1.300 studenti che ogni anno frequentano Portofranco vengono aiutati nello studio da trecento volontari, attraverso un rapporto personale. Molti di questi studenti hanno origini straniere, ma ciò che è affascinante a Portofranco è che una delle parole oggi più usate, la parola inclusione, lì non è un bel discorso teorico, ma si realizza. A Portofranco infatti ogni ragazzo si trova guardato e stimato come un valore unico e questo gli permette di scoprire quanto la sua umanità sia positiva e quanta ricchezza lui abbia in sé.



Inclusione significa reciprocità, significa che un ragazzo che trova un professore che ha fiducia in lui comincia a scoprire di avere delle potenzialità e che le può realizzare. Inclusione vuol dire che un ragazzo di origini straniere che apprende la cultura italiana capisce che può portare la cultura delle sue origini, che così diventa una ricchezza. Grazie allo sguardo da cui inizia tutto si vive una convivenza dove ci si guarda in modo positivo, non come se si fosse una su una barricata e l’altro su quella opposta, ma insieme ad affrontare la vita, insieme a cercarne il senso. Così Portofranco è il luogo dove vi è un rapporto tra generazioni diverse, perché vi sono gli studenti che hanno bisogno di superare le loro difficoltà, e ad aiutarli vi sono studenti universitari, adulti, professori o professionisti in pensione. È affascinante che in un mondo dove ogni generazione è un mondo chiuso in sé, esista un luogo dove persone di diverse generazioni si guardano con stima e imparino le une dalle altre.

Questo possiamo offrire ai giovani, non solo del Corvetto: un’esperienza di amicizia nella vita che porti speranza a tutti. In questo senso Portofranco e tutte le realtà dove esista una reale valorizzazione dell’altro, come la Cooperativa sociale La strada, la Cooperativa Martinengo dell’Istituto delle Suore di Carità dell’Assunzione, la Scuola Regina Mundi – tutte realtà che operano proprio nel quartiere Corvetto – sono segni di speranza per una società sempre più inclusiva, dove ognuno possa essere riconosciuto nella sua positività e guardare l’altro come una ricchezza da scoprire.

 

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