Il tempo a Genova ieri era nuvoloso, mare mosso, pioggia, vento e schiarite, tenpo de lebeccio, come dicono qui, ma per fortuna non quello cupo e piovoso, quasi sinistro, del 14 agosto 2018. Come due anni fa, il presidente Mattarella, il premier Conte, il governatore Toti e il sindaco, nonché commissario straordinario alla ricostruzione, Bucci, sono tornati insieme nella valle del Polcevera. Sotto gli auspici di un arcobaleno, assieme ai presidenti di Camera e Senato e alla presidente della Corte Costituzionale erano sorridenti e non attoniti, sopra il ponte e non accanto alle macerie, per la sobria inaugurazione del nuovo “Genova San Giorgio”. Su progetto di Renzo Piano e realizzazione del consorzio Salini-Impregilo Fincantieri, la nuova struttura poggia su 19 piloni, è lunga 1100 metri con impalcato a forma di chiglia di nave, su cui svettano 43 altissime guglie di illuminazione, in ricordo delle 43 vittime.



Nella struttura del ponte tuttavia è rimasto qualcosa del vecchio Morandi, a ricordare un passato comunque glorioso e tragico, allo stesso tempo. La rampa elicoidale di levante di raccordo con la A7 per Milano e poi la A12 per Livorno-Rosignano, che a percorrerla vengono le vertigini, svetta a fianco della montagna con i suoi esili pilastri.



Giornata mesta quella di ieri, senza la presenza dei familiari delle vittime, incontrati in forma privata da Mattarella in prefettura, accompagnata dalle Frecce tricolori e dalla musica di De André, ma anche evento da fanfara per le voci piene di orgoglio per aver costruito un ponte in meno di due anni. Ma fatto il ponte, tra vanto presente e passato pieno di sgomento, la questione Genova, anzi ligure, è ancora del tutto aperta. Le polemiche, anche strumentali, sulla condizione delle autostrade, sono cosa delle scorse settimane. Il problema dei trasporti e delle infrastrutture in Liguria resta. Non si dimentichi che a Savona, sulla A6 (viadotto autostradale), e a pochi chilometri dalla provincia della Spezia, al confine con la Toscana (Ponte di Albiano), sono crollati altri due ponti. In un’inchiesta puntuale del Corriere della Sera del mese scorso sono state contate ben 14 strutture incompiute, in tutte e 4 le province, tra opere stradali, autostradali e ferroviarie.



Tra le più importanti il completamento del raddoppio della linea Genova-Ventimiglia che porta in Francia: 31 Km tra Finale Ligure e Andora, già finanziata e nel cassetto dal 2002, ma ideata alla fine degli anni 70 del secolo scorso. I tempi di realizzazione sono incerti e Giovanni Toti ha dichiarato che i cantieri dovranno essere aperti nel 2023, al termine dei lavori del terzo valico. Forse ci vorranno, se tutto va bene, altri 10-15 anni, quando i liguri avranno solo un ricordo del giornalista governatore.

Del raddoppio della “pontremolese”, la linea ferroviaria tra La Spezia e Parma, si parla da cinquant’anni. Sono stati stanziati 170 milioni che programmano i lavori entro il 2032. Tuttavia, i tempi di realizzazione saranno lentissimi: su 112 km, solo 55 sinora sono stati realizzati e il tratto Parma-Vicofertile, finanziato quest’anno, è di soli 9 km. Restano da finanziare e progettare il percorso sino a Fornovo (18 km) e soprattutto la galleria di 21 km del valico (Berceto-Pontremoli) e la tratta da Pontremoli sino a Chiesaccia (Villafranca Lunigiana) di 15,5 km. A pensar male saranno necessari altri 30-40 anni per il completamento della Tirreno-Brennero. Il valico dei Giovi, che serve l’alta capacità ferroviaria sino al nodo di Milano, che il governo giallo-verde dello scorso anno voleva cancellare, sarà pronto entro il 2023-24. In quella data la Liguria dovrebbe essere collegata al corridoio  ferroviario Lione-Verona, con la possibilità, una volta completati i lavori, di passare le Alpi sulla direttrice AV del Brennero e del nuovo Frejus, di cui si è discusso all’infinito perché in molti puntavano all’abbandono del progetto.

Il punto dolente delle incompiute liguri è la Gronda di Genova, il passante autostradale che a monte della città dovrebbe collegare la A12 con la A10, intersecandosi con la A7. La mancata realizzazione (se ne parla dal 1990) per molti esperti ha la responsabilità di aver fatto aumentare a dismisura i carichi del vecchio ponte Morandi, portandolo al collasso. Con tre decenni di ritardo il progetto esecutivo è fermo al 2018 e non ci sono certezze sui tempi di realizzazione, anzi è divenuta punto di scontro tra il Governo e Atlantia, la società dei Benetton con cui controllano Aspi che gestisce la Società autostrade. Il costo era di 4,6 miliardi derivanti da un aumento delle tariffe e un allungamento della concessione di 4 anni. Ora arriva Cassa depositi e prestiti e il ministro delle Infrastrutture Paola De Micheli ha dichiarato che “nel Piano strategico, ItaliaVeloce, sono pronti 16,4 miliardi per le infrastrutture della Liguria”. Si tratterà di vedere se la sostituzione del pubblico all’imprenditore privato migliorerà le cose. La volontà di rinascita, espressa in discorsi ufficiali come quelli di ieri sera, spesso è smentita dai fatti.

Genova ha poi altre necessità, perché con la sua conformazione lunga e stretta, schiacciata tra il mare e le alte colline, ha evidenti problemi di mobilità interna, emersi proprio dal crollo del Morandi. È un problema di antica data in quanto i genovesi per lo spostamento veloce est-ovest e viceversa sono costretti a usare l’autostrada e il ponte. Ora con la realizzazione dell’asse stradale Giuseppe Canepa-Guido Rossa, per togliere gli ingorghi post crollo, la situazione a ponente è migliorata, ma la soluzione su gomma alla lunga va superata. Il capoluogo ligure, proprio per come è configurato, presenta alti tassi di inquinamento per il traffico, anche se è una città molto ventilata. Avrebbe l’urgenza di allungare la metropolitana sino a Nervi a levante e almeno sino all’aeroporto, se non a Pegli, a ponente, con diramazione in val Polcevera e in val Bisagno.

Il quadruplicamento della ferrovia urbana tra Brignole e Sampierdarena è a buon punto, ma non sembra più un’opera strategica, eppure i genovesi utilizzano la ferrovia per collegamenti metropolitani. Sotto la Lanterna bisognerebbe essere più propensi alla programmazione che al mugugno, e cercare, oltre alle altrui, anche le proprie responsabilità. La realizzazione del nuovo ponte sembra comunque un buono inizio, la forza di lottare è una qualità dei genovesi, ma la Liguria è purtroppo destinata a soffrire per le opere mancate, ancora per tanto tempo.