Quando un fatto di cronaca turba l’opinione pubblica, rischiando di diventare motivo di una vera e propria morbosità, si tende a perdere le dimensioni del problema. È il caso dei “femminicidi”, omicidi particolarmente odiosi, assurdi, da condannare in ogni caso e che rappresentano circa il 91% dei casi di morte procurata tra partner (ovvero solo il 9% delle volte è una donna che uccide un uomo).



Il caso di Giulia Cecchettin e l’eco mediatico che ne è conseguito – oltre a non pochi risvolti di ordine politico – ripropone un problema che, almeno statisticamente, va però ricondotto entro termini complessivi corretti. Si è detto che per ridurre questo crimine – senza arrivare al delirio di definirlo “delitto di stato”, definizione comprensibile solo per il dolore della sorella della vittima ma immediatamente sfruttato dai media e da alcune parti politiche – occorrerebbe una serie di interventi legislativi e culturali, addirittura proponendo una materia specifica nei programmi scolastici. Vanno però anche conosciute le dimensioni statistiche del fenomeno, a sottolineare che se prendiamo quelle disponibili a livello europeo vediamo che in alcuni Paesi “progressisti” e nordici i femminicidi sono, rapportati alla popolazione, molto di più che in Italia.



Se in termini assoluti è la Germania dove si registrano più femminicidi in Europa e l’Italia è al quarto posto, in rapporto alla popolazione (dato molto più logico) quanti sanno che in Lettonia vi è una percentuale di 4,09 casi annui su 100mila abitanti rispetto allo 0,4 % dell’Italia? Oppure che – con percentuali minori, ma sempre proporzionalmente più di 3 volte rispetto all’Italia – alla Lettonia seguono Estonia e Lituania? Tra l’altro i casi sono molto meno numerosi nel sud dell’Europa che non in Germania, Francia, Croazia, Austria o Slovenia mentre il Paese più “sicuro” per le donne è la Grecia, con solo 0,16 casi ogni 100mila abitanti. E le proporzioni non cambiano se ci si limita a considerare i casi legati a conviventi o ex conviventi.



È ovvio che i delitti sono sempre tragicamente troppi, ma è difficile pensare che interventi legislativi possano oggettivamente incidere molto sui numeri assoluti del fenomeno, mentre il dato più allarmante è piuttosto che il 46% delle donne uccise si sarebbe precedentemente rivolta – invano – alle forze dell’ordine per denunciare violenze o minacce, ma la denuncia evidentemente non era servita. Più che il numero dei morti in sé, si pone quindi il problema della violenza domestica, che è da prendere più in considerazione, tenuto conto che moltissime donne probabilmente sopportano e non denunciano: avere il coraggio di farlo e sapere diritti e comportamenti da tenere dopo la denuncia è il vero primo passo per salvarle.

In generale, come sottolinea un’attenta ricerca di Openpolis, nonostante un’opinione diffusa legata a troppi film sulla mafia l’Italia non è una società intrinsecamente violenta, perché presenta comunque il secondo dato più basso d’Europa per incidenza degli omicidi sul totale della popolazione: 0,48 ogni 100mila abitanti, ben al di sotto della media Ue (0,89). Anche per quanto riguarda gli omicidi di donne il dato italiano è inferiore alla media Ue (0,38 contro 0,66) ricordando che in Italia si è passati complessivamente dai 1.442 omicidi del 1992 ai circa 700 l’anno all’inizio del nuovo secolo, per scendere oggi a meno della metà.

Tuttavia, se negli anni il numero di uomini vittime di omicidio si è fortemente ridotto, lo stesso non si può dirsi verso le donne, per le quali il miglioramento è stato molto più lento e contenuto. Nei primi anni 90, riporta l’Istat, per ogni donna uccisa erano uccisi 5 uomini e nel tempo tale rapporto è gradualmente diminuito fino ad arrivare nel 2021 a 1,6: contano evidentemente la diminuzione delle stragi di mafia e di camorra con omicidi quasi sempre tra uomini.

Se poi consideriamo le uccisioni di donne da parte di familiari, partner o ex partner della vittima, la loro incidenza è solo lievemente diminuita (da 0,36 nel 2012 a 0,32 nel 2021), a sottolineare che quasi tutti gli omicidi sono tra coppie od ex coppie e raramente per responsabilità di estranei. Interessante esaminare anche i dati regionali dove spiccano Calabria, Friuli-Venezia Giulia e Campania come regioni più violente mentre quella più virtuosa, sulla base del quinquennio pre-Covid, è stata la Basilicata, oltre a Valle d’Aosta e Molise ove non si è registrato alcun femminicidio.

Chiaramente vi sono omicidi o fatti che più colpiscono la sensibilità e l’opinione pubblica ma anche che innestano la speculazione politica. Per esempio la Schlein chiede di rendere obbligatoria a scuola la materia di  “Educazione alle relazioni”. Ma non dovrebbe essere comunque tutto il percorso scolastico a farlo?

Anche perché, secondo i dati statistici del 2021, i giovani tra i 15 e i 24 anni morti in incidenti su strada sono stati più di uno al giorno: non sarebbero allora ben più urgenti corsi di educazione stradale? Eppure tra le vittime della strada nella fascia di età tra i 15 e 19 anni il numero di morti per milione di abitanti si alza a 51, in quella tra 20 e 24 (ovvero i neopatentati) addirittura schizza a 74, valori ben al di sopra delle medie continentali.l

Ricordando che ogni anno muoiono in Italia circa 715mila persone di cui circa 3.500 sulle strade, in questo triste conteggio gli omicidi rappresentano meno dell’1 per mille, sono meno del 10% rispetto ai morti sulle strade italiane e tutti gli omicidi non sono che un quarto rispetto ai morti sul lavoro (che superano il migliaio); tanto da chiedersi se non sia più utile focalizzarsi – oltre che sulla sanità – anche sulla prevenzione di queste morti, che numericamente incidono in maniera molto più pesante sul contesto generale, ma che  troppe volte ricevono ben poca attenzione dai media.

 

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