“Esserci per cambiare” è il titolo scelto dalla Cisl per il suo XIX congresso, celebrato presso la fiera di Roma nelle giornate recenti, per rimarcare il ruolo del sindacato che ha scelto la partecipazione come la via privilegiata per dare voce alle aspirazioni dei lavoratori in un contesto di grandi cambiamenti. Rappresenta la continuità con una lunga tradizione autonomista e contrattualistica del sindacalismo riformista italiano che non si contrappone per partito preso alle imprese e ai governi di turno, per cercare punti di incontro con le controparti e con gli interlocutori istituzionali per coniugare gli interessi dei lavoratori con quelli più generali della società.
Un modo di concepire l’azione sindacale che assume un maggior valore nei contesti storici contrassegnati da cambiamenti epocali che comportano delle scelte di campo radicali per le comunità nazionali, come quello che stiamo vivendo.
La relazione introduttiva del Segretario Generale Luigi Sbarra, rieletto nell’incarico con un ampio consenso, pone infatti una grande enfasi sulla necessità di operare una scelta di campo “senza se e senza ma” per la difesa dei valori delle società aperte, fondati sulle libertà individuali, sul pluralismo delle espressioni politiche e sociali nell’ambito dello stato di diritto, messe in discussione da un’assurda aggressione militare verso uno Stato democratico. Un tassello di uno scenario internazionale caratterizzato dal palese tentativo di costruire inedite alleanze tra le nazioni finalizzate a ridimensionare il peso politico delle democrazie sviluppate, in coerenza con quanto già avvenuto sul piano economico e demografico. È una battaglia sui valori che comporta implicazioni di diversa natura e che rende più complessa e onerosa la transizione economica verso l’economia digitale ed ecosostenibile.
Per l’azione sindacale si prospettano scenari inediti e contraddittori. La ripresa dell’inflazione su livelli impensabili fino a qualche mese fa è l’indicatore di un’inversione di marcia del percorso della globalizzazione dei mercati destinata a influenzare la redistribuzione delle quote del reddito prodotto tra le grandi aree economiche e a riposizionare le filiere produttive tenendo conto delle variabili di rischio geopolitiche. Ma è anche un percorso che sollecita il recupero dei livelli di coesione politica economica e sociale interni alle Comunità nazionali e che rimette al centro l’importanza delle cosiddette stakeholder economy, delle strategie aziendali che devono essere ponderate non solo sulla base degli interessi per le ricadute generate per il complesso degli attori che concorrono alla generazione del valore aggiunto e al raggiungimento degli obiettivi (azionisti, lavoratori, istituzioni, fornitori, comunità locali).
Sono queste le novità che motivano l’esigenza di ricostruire le condizioni di un rinnovato patto sociale, sostenuto da una parte significativa del mondo imprenditoriale e dalla Cisl per l’obiettivo di far convergere gli interessi di parte, a partire dall’esigenza di rendere sostenibili i costi sociali della transizione economica, nell’ambito di un disegno che metta al centro l’obiettivo di rafforzare gli asset produttivi e occupazionali del nostro Paese. Nella relazione introduttiva il Segretario generale della Cisl Luigi Sbarra declina puntigliosamente quelli che potrebbero essere i capisaldi del nuovo patto sociale, fondato sulla ricostruzione dei rapporti tra il capitale e il lavoro.
L’impatto delle tecnologie digitali genera problemi di obsolescenza delle competenze e un aumento della mobilità del lavoro, ma in parallelo anche una domanda di nuove professionalità che valorizzano gli ambiti relazionali e la possibilità di ripensare lo spazio, i tempi e le caratteristiche delle prestazioni lavorative per migliorare la conciliazione con le scelte di vita delle persone. L’evoluzione delle tutele nell’ambito lavorativo deve essere accompagnata da una dotazione di strumenti e di servizi, promossi con il concorso degli attori pubblici e sociali che consentano di rendere sostenibili le transizioni lavorative, in forte aumento, riducendo i rischi di isolamento e solitudine delle persone coinvolte, Questa evoluzione può essere favorita da nuove forme di regolazione del rapporto di lavoro in grado di valorizzare le competenze, l’autonomia e i risultati ottenuti dai lavoratori anche rafforzando le modalità di partecipazione collettiva delle rappresentanze dei lavoratori nella formazione delle decisioni che orientano le scelte delle imprese.
Per reggere il cambiamento di fase diventa necessario favorire la crescita parallela della produttività e dei salari reali in tutti gli ambiti lavorativi, orientando in questa direzione i modelli della contrattazione e gli stimoli fiscali. L’insieme di questi processi deve essere orientato e regolato ribadendo il primato della contrattazione, e della partecipazione attiva delle rappresentanze del lavoro, rispetto agli interventi operati dalla legge.
Buona parte di queste proposte si colloca nel solco della continuità con quelle sostenute storicamente dal Sindacato di ispirazione cattolica. Ma nell’attuale contesto nazionale generano un effetto dirompente.
Il cambio di passo imposto dall’evoluzione dello scenario internazionale fatica a essere compreso a livello politico e sindacale, nonostante numerosi indicatori di diversa natura rendano del tutto evidente l’esaurimento delle condizioni che hanno consentito l’ampliamento dei debiti pubblici a costi decrescenti, garantiti dagli interventi delle Istituzioni dell’Ue per sostenere gli apparati produttivi e i redditi delle persone nel corso della pandemia Covid.
Nonostante la parentesi del Governo Draghi, subentrato per ragioni di Stato alla manifesta inadeguatezza dei Governi che l’hanno preceduto, la sbornia degli aiuti di Stato, e dei redditi che devono essere assicurati con il concorso di denaro pubblico fanno riemergere, come un’araba fenice, le pulsioni populiste. Aggravate dalla scelta operata dalla Cgil e dalla Uil di competere sul medesimo terreno. La rinuncia a svolgere il ruolo di mediazione sociale per alzare in modo indiscriminato il livello delle rivendicazioni, come sottolineato da Dario Di Vico (Il Foglio 27 maggio), è paragonabile “a una sorta di zapping della rappresentanza che ha indotto leader sindacali come Bombardieri e Landini a lasciare da parte il lessico della responsabilità (i patti sociali), e a mettersi al vento”.
Una scelta che è stata rimarcata con la decisione dei Segretari generali della Cgil e della Uil di non intervenire nel corso dei lavori del congresso (formalmente giustificata dalla concomitanza di altri impegni). La rinuncia a svolgere il ruolo di mediazione sociale di una parte rilevante dei corpi intermedi vanifica la possibilità di concretizzare qualsiasi ipotesi di patto sociale. Con le conseguenti implicazioni politiche e sindacali che ne derivano. La fine legislatura sarà contrassegnata dalla necessità di affrontare le emergenze imposte dall’evoluzione degli avvenimenti internazionali con un Governo esposto alle fibrillazione tra i partiti della maggioranza legate all’imminenza della scadenza elettorale. Allo stato attuale il nostro Paese risulta privo di un nucleo di forze politiche e sociali che si propone in modo esplicito di cooperare per gestire cambiamenti destinati a condizionare il futuro della nostra Comunità nazionale.
Sul terreno sindacale la frattura tra le organizzazioni sindacali, e l’incapacità dei ricostruire un solido dialogo con le controparti, priva le Confederazioni della capacità di incidere sulle scelte politiche e sulla governance dei processi reali a partire da quelli destinati a influenzare l’attuazione del Pnrr e le dinamiche del mercato del lavoro. Apre una contraddizione profonda con quanto avviene nelle relazioni sindacali nei settori, nelle aziende e nei territori che testimoniano una capacità di adattamento e di risposta ai problemi reali decisamente migliore rispetto a quanto avviene nelle centrali sindacali, ma che lascia scoperti interi comparti economici, a partire dai servizi, caratterizzati da un’ampia dimensione del lavoro sommerso.
Nell’attuale contesto, lo spazio meramente rivendicativo dell’azione sindacale è praticamente inesistente sul terreno contrattuale. Su quello politico culla l’illusione che la redistribuzione del reddito possa essere coltivata a prescindere dalla sua produzione accumulando debiti da caricare sulle nuove generazioni. La cosa più iniqua che possiamo immaginare.
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