L’ Unione Europea raggiunge un accordo di massima sulla necessità di interventi straordinari per la pandemia del corona virus e le conseguenze economiche disastrose che ha provocato in tutto il continente. Persino Christine Lagarde, la presidente della Bce, mostra tutta la sua preoccupazione prevedendo un crollo del Pil europeo del 16 per cento.
Quindi, il minimo che ci si aspettava, anche dopo i suggerimenti che sono arrivati dall’Eurogruppo, quello dei ministri economici e finanziari, era inevitabilmente un intervento straordinario. Ma il problema non è affatto risolto. Nel momento in cui è arrivato il summit dei primi ministri, il summit degli Stati dell’Unione, cioè il Consiglio europeo, arrivano nitide ancora le divisioni sui meccanismi e sui tempi degli interventi straordinari. E si ripete la contrapposizione tra i paesi del Nord Europa, guidati dalla Germania, e i paesi del Sud.
Mettiamo in riga gli elementi importanti. Ci sono i soldi che metterà in campo la Bei, la banca degli investimenti, c’è il Sure, acronimo di un programma che rafforza e garantisce aiuti sulla cassa integrazione, c’è pure (anche se non lo si dice o lo si mormora sottovoce) il Mes, collegato, apparentemente senza condizioni, agli aiuti per la sanità.
Ma nel momento in cui si pone in concreto il fondo “Recovery fund” suggerito dal ministro francese alle Finanze, Bruno Le Maire, si forma un gruppo di sette paesi, tra cui l’Italia in prima fila come dice il presidente Giuseppe Conte, ma anche la consueta dura opposizione di Germania, Olanda e Austria come capofila.
Su che cosa esattamente? Il problema è che Conte e i paesi del Sud Europa pongono il problema basandosi non su prestiti, ma su prestiti a fondo perduto, probabilmente anche sui cosiddetti “bond perpetui”, ma la signora Angela Merkel in persona dice no e il suo “portavoce” austriaco, Sebastian Kurz, amplifica il pensiero rifiutando qualsiasi concetto di mutualità del debito. Arriva anche un comunicato del presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, che cerca di indorare pillole amare, perché mentre dovrà intervenire la Commissione, tutto l’intervento si discuterà a giugno e poi il fondo si delineerà con il prossimo bilancio europeo, quindi tutto slitta, per un valore di 1.500 miliardi, nel 2021.
Quindi, ripetiamo, il problema si moltiplica per due. Si può magari trovare una mediazione, molto difficile, tra una parte dell’intervento straordinario con una parte in prestito e una parte a fondo perduto. Sono strumenti innovatori da cercare, ma che difficilmente si possono trovare.
Ma poi c’è il problema dell’urgenza che lo stesso Giuseppe Conte, che rappresenta un Paese tra i più colpiti dalla pandemia, pone con forza. La chiusura, il lockdown sta mettendo in ginocchio l’economia italiana. Ci sono stime da brivido sulla caduta del Pil, sulla chiusura delle fabbriche, sulla morte di numerosi esercizi commerciali e di piccole aziende, sull’impennata paurosa del numero di licenziamenti e di disoccupati che può mettere in seria difficoltà la tenuta sociale del Paese.
L’urgenza, la disponibilità, la solidarietà europea diventano una ragione di esistenza per l’Italia e alla fine anche della stessa Europa.
Ma il summit e il Consiglio europeo lasciano solo perplessità e anche qualche delusione, con tutta probabilità. Nel vedere la riproposizione della scontro tra Nord e Sud Europa, probabilmente lo stesso Conte sente di essere più debole. Una decina di giorni fa, quando terminò l’Eurogruppo, si infilavano, uno dietro l’altro, toni un po’ troppi entusiastici. Chi ora ricorda il rifiuto del Mes promesso da Conte? Chi può dimenticare la frase del ministro dell’economia Roberto Gualtieri, che diceva: “Ci sono i bond sul tavolo”?
Nessuno, in questa tragedia, prima sanitaria e poi economica, può dimenticare una mancanza di direzione, uno smarrimento della bussola e una condotta senza guida sicura e senza una reale forza di trattativa.
Non è un caso che Giuseppe Conte, al termine del summit, abbia rilasciato solo una dichiarazione di tre minuti circa, senza fare una conferenza stampa, sottraendosi a qualsiasi eventuale domanda di chiarimento.
In casi come questo, si può ribadire che la speranza è l’ultima a morire, ma l’impressione è che la linea, sponsorizzata dalla Francia, condivisa da Italia, Spagna e Portogallo, esca perdente o quanto meno molto ridimensionata.
C’è appunto da sperare che ci stiamo sbagliando e che un accordo si possa alla fine trovare, in modo che per affrontare una simile situazione l’Italia non affoghi, dopo una tragedia sanitaria, in peggiori guai economici e sociali. A questo punto, si può azzardare, che se in Commissione a Bruxelles non si troverà una mediazione convincente e utile all’Italia, le questioni diventeranno roventi. Intanto per oggi si aspetta il giudizio dell’ineffabile agenzia di rating Moody’s, che può declassare a junk bond i nostri titoli di Stato.