Non è che sai debba dire “gli sta bene”. Però è un fatto che ieri al Consiglio europeo la linea da “Ottavo cavalleggeri” dell’esercito americano guidata dall’Italia di Draghi ha subito uno stop. Non c’è da esserne soddisfatti perché la richiesta italiana di imporre subito un tetto al prezzo del gas era pur sempre un modo coraggioso e consequenziale di “dargliene quattro” a Putin. Ma un modo un pochettino boy-scoutistico, visto che a oggi il gas che eventualmente Mosca non accettasse di vendere all’Europa a quel prezzo massimo troverebbe agevole collocamento su altre piazze, come sommessamente segnalano un po’ tutti gli esperti del settore; per cui il rischio dell’Europa sarebbe di trovarsi senza gas e con un avversario non meno tracotante di prima.



Come ha giustificato, Draghi, la decisione del Consiglio, quella di rinviare la scelta sul tetto al prezzo alla valutazione di uno studio che la Commissione europea viene invitata a produrre entro settembre, per poterne discutere entro ottobre? “Sui prezzi dell’energia – ha detto il nostro Premier – i Paesi sono molto esitanti ad agire, ho un chiesto Consiglio straordinario sull’energia a luglio, ma mi è stato fatto notare che non abbiamo ancora uno studio sul quale discutere. Ecco, ora nella risoluzione finale il Consiglio invita la Commissione a produrre questo studio entro settembre, per poi discuterne nel Consiglio di ottobre”. 



Deluso Draghi? A sentir lui no: “Non mi sento deluso da questo Consiglio, anzi non mi aspettavo di poter fissare una data precisa per un rapporto completo sulla questione dell’energia: le cose si stanno muovendo, anche se magari non avvengono rapidamente come uno vorrebbe”. Già, mentre la guerra in Ucraina ristagna, la Russia non accenna a mollare e l’afflusso dei nuovi armamenti richiesti da Zelensky va a rilento.

Il vero dato che emerge dalla grigia giornata europea del presidente del Consiglio è che la sua metafora, dal sapore para-grillino, sulla scelta etica tra un grado di caldo in più da sopportare per contenere l’assorbimento di energia del condizionatore e la difesa dell’Ucraina dall’invasore è a oggi smentita dai fatti. Altro che grado in più. Per quanto la dipendenza dell’Italia dal gas russo sia stata ridotta al 25% dal 40% e passa che era, oggi un blocco di quella fornitura sarebbe disastroso, e ancor più per la Germania, senza la quale – si sa – alla fine l’Europa non muove foglia. Tra l’altro Macron, che grazie al suo nucleare può relativamente infischiarsene di Gazprom, è una larva politica nel suo Paese dopo aver perso la maggioranza in Parlamento, e dunque non può più, con la stessa grandeur di prima, ostentare sicurezza e dettare legge.



In conferenza stampa Draghi non ha fatto mancare – coerentemente con la sua linea – le consuete sottolineature sui progressi compiuti dall’Unione europea di oggi rispetto a quella che ancora tre anni fa era considerata da tanti come una specie di arcigna istitutrice anti-italiana e che in fondo solo la forza cieca del virus ha trasformato in una provvida infermiera capace di tassarsi di tasca sua per finanziare (in parte: per metà sono debiti!) la ripresa post-pandemica. Ma la sostanza è che la costruzione europea ha fatto un passo avanti, non un balzo quantico, quello che servirebbe per giocare da vera protagonista sullo scacchiere geopolitico internazionale senza restare quel che invece a tutta evidenza rimane, ossia una colonia politica degli Stati Uniti.

Ecco: semmai il punto a vantaggio di Draghi è che l’aggressione russa all’Ucraina ha dimostrato l’incapacità europea, di tutta l’Europa, di declinare un’iniziativa geopolitica autonoma da Washington, e non solo della vecchia, cara colonia italiana. Mal comune mezzo gaudio insomma. L’unica variante è la ripercussione economica della linea dura, che Putin ha determinato con la sua politica energetica: quella, la paghiamo solo noi, e anzi gli amici americani direttamente e indirettamente lucrano sul caro-prezzi sostenuto dai bravi alleati europei.

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