E alla fine dei tre giorni più assurdi del secondo governo Conte la montagna ha partorito il topolino. Una girandola di vertici notturni per sfornare un nuovo Dpcm che appare limitato e tardivo. Del tutto insufficiente, a prima vista, a fare argine alla seconda ondata della pandemia.
La genesi del nuovo provvedimento d’emergenza contiene momenti imbarazzanti. Un tira e molla con le regioni, con i gruppi di interesse, con i partiti di maggioranza, che ha visto Palazzo Chigi nel ruolo del manzoniano vaso di coccio in mezzo ai vasi di ferro. Nella conferenza stampa (scivolata inesorabilmente verso la tarda serata, segno che mancava l’accordo), Conte ha specificato di aver dovuto trovare un punto di equilibrio fra salute ed economia. Preservare quell’insperata ripresa economica che i dati di Bankitalia hanno registrato nel terzo trimestre di questo annus horribilis.
Nonostante la narrazione eroica dettata dalla comunicazione di Rocco Casalino (non siamo mai stati fermi, ci siamo preparati per bene alla seconda ondata), l’accorta strategia del rinvio attuata per mesi dal capo dell’esecutivo ha finalmente mostrato tutti i suoi limiti. I nodi sono venuti al pettine, tutti insieme. Si è creata l’aspettativa di misure draconiane per annunciare poi interventi limitati dai mille paletti imposti dai gruppi d’interesse. In molti hanno avuto l’impressione che si tratti solo di un antipasto (su palestre e piscine Conte è stato chiaro), ma questo potrebbe essere due volte un danno. Se si tratta di frenare la pandemia, misure più energiche sarebbero state auspicabili da subito. Il rischio, ancora una volta, è di perdere tempo prezioso.
La domanda da porsi, ormai, è se questo governo sia adatto a governare l’Italia in questa fase. A marzo gli italiani, per via della paura, erano pronti a perdonare ogni errore e a sopportare qualunque liquidazione. Il vento è cambiato, in tanti non hanno visto un euro, o sono in mezzo ai guai. L’opinione pubblica non sembra disposta a trangugiare in silenzio una escalation delle limitazioni. Lo stesso imprenditori e sindacati. Il numero uno di Confindustria, Bonomi, non perde occasioni per mazzuolare il governo, la triplice vede come il fumo negli occhi la fine del blocco dei licenziamenti e minaccia sfracelli.
A Conte servirebbe come il pane allargare la sua base di consenso. Aver superato indenne la complessa tornata elettorale del 20 settembre gli ha probabilmente dato l’illusione di aver scavallato il momento peggiore e di poter navigare con tranquillità per almeno un anno e mezzo, sino alla scelta del successore di Mattarella. La recrudescenza della pandemia ha spezzato rapidamente questa illusione. Servirebbe più consenso, con il coinvolgimento dell’opposizione nelle scelte, ma su questo alle parole non sono mai seguiti i fatti, nonostante i martellanti appelli del Quirinale, sin da marzo.
Proprio ieri uno dei politici più vicini a Mattarella, l’ex segretario del Ppi, Pierluigi Castagnetti, scriveva su Twitter: “Continuo a non capire perché il governo non promuova un tavolo con anche le opposizioni su Covid e Recovery Fund. Non si tratta di rinunciare alle proprie responsabilità, ma di assolverla meglio”. Quand’anche Mattarella non ne fosse informato, difficilmente il suo pensiero avrebbe potuto essere interpretato in modo più efficace.
Si badi: chiamare le opposizioni a condividere le scelte non significa semplicemente informarle con qualche minuto di anticipo sulle conferenze stampa, come Conte ha spiegato di aver fatto ieri sera. Significa tenere conto delle proposte dell’altro schieramento.
“Dopo sei mesi, il governo continua a non coinvolgere l’opposizione nelle sue decisioni. Una opposizione, quella del centrodestra, che governa 14 regioni su 20 e rappresenta la maggioranza degli italiani” hanno scritto ieri sera in una lettera pubblica Salvini, Meloni e Berlusconi. “Avevamo denunciato il rischio di un autunno problematico e chiedevamo da tempo una strategia complessiva che non c’è stata. Non è accaduto nonostante il centrodestra abbia dato il suo contributo per liberare risorse che il governo non ha investito con efficacia e con rapidità” hanno aggiunto i tre leader.
Rimasto solo a fronteggiare i problemi che aumentano, adesso Conte rischia grosso. Con il Pd che gli tiene il fiato sul collo, forte del buon risultato elettorale, il tema del rimpasto potrebbe tornare di prepotente attualità. E senza uno scatto in avanti repentino, il premier rischia di essere il primo a finire rimpastato.