Eccoci di nuovo nell’emergenza ed ecco di nuovo la sequenza dei provvedimenti del Governo, dei singoli ministri, delle Regioni e dei Comuni, una serie di interventi che vanno dal decreto legge 125 del 2020 in merito – tra l’altro – all’uso della mascherina all’aperto, entrato in vigore l’8 ottobre, alla circolare del ministero dell’Interno, il 10 ottobre, che specifica la portata della norma sull’uso delle mascherine all’aperto durante l’attività motoria. Il 13 ottobre è stato poi emanato il decreto del presidente del Consiglio dei ministri entrato in vigore il 14 ottobre, cui ha fatto seguito, ieri, un nuovo Dpcm. Non è neppure mancata una circolare del ministero della Salute del 12 ottobre 2020 che dà indicazioni e ridefinisce i periodi e i termini della quarantena.
Viene alla memoria quello che Napoleone diceva delle Costituzioni, che dovrebbero essere brevi ed oscure, affinché il popolo sovrano non ne comprenda né il senso né la portata. Qui l’insieme dei provvedimenti non è certo breve ma è invece assolutamente oscuro. E non tanto nei suoi dettagli, quanto nella filosofia di fondo. Sembra infatti che ben pochi siano i comandi, cioè la forma tipica della norma giuridica che è tale in quanto provvista di sanzione. Ad esempio, non vi è sanzione per quanto riguarda le feste e il numero minimo di partecipanti, in quanto solo raccomandato, come del resto pare abbastanza oscuro il significato del termine “feste”. Poco comprensibile anche la norma dell’ordinanza della Regione Lombardia relativa alle università alle quali – nel rispetto della specifica autonomia (sic!) – viene raccomandato di organizzare le proprie attività al fine di promuovere il più possibile la didattica a distanza, espressione che descrive puntualmente quello che già succede.
Molte descrizioni, molte raccomandazioni, svariate linee guida a testimoniare come sembri difficile per il potere centrale prendere una posizione precisa su quanto sta succedendo, numeri preoccupanti per una collettività già spaventata e disorientata, che si ritrova a dare regole a sé stessa, secondo il principio da tutti richiamato della responsabilità individuale, unico argine al dilagare del virus ma assai difficile da interpretare e facilissima da dimenticare in un momento di deconcentrazione in cui, incontrando un amico – o in casi analoghi – si perde immediatamente il senso della prudenza.
Quanto all’ultimo Dpcm, vi sono regole per bar e ristoranti minimali e, in apparenza, attente a non creare troppi danni ai gestori, già abbastanza provati, il cui effetto anticontagio sembrerebbe quantomeno incerto: si vietano fiere e mercati, probabilmente già derubricati, si sospendono convegni e congressi, già assenti dal panorama scientifico. Niente divieti invece per parrucchieri e centri estetici, palestre, piscine, centri e circoli sportivi pubblici e privati, sale gioco e bingo (aperti dalle 8 alle 21). Le regole su scuola, trasporto pubblico locale e università restano sostanzialmente identiche, mentre il divieto di assembramento scarica sui sindaci la scelta di chiudere al pubblico vie e piazze, cosa che ha creato molti problemi ai sindaci, per il quali non è chiaro come operare e, soprattutto, come coordinare le proprie scelte con quelle delle Regioni.
La lettura del nuovo Dpcm è assai ostica, visto che prevede modifiche al precedente Dpcm del 13 ottobre, secondo una tecnica legislativa fortemente stigmatizzata dai cultori della chiarezza delle norme (uno dei requisiti in cui si traduce la riserva di legge e, a fortiori, il principio dello stato di diritto). Le scelte di base sono lasciate alle autorità locali (come sopra ricordato per i sindaci) coinvolgendo regioni, province ed altri enti locali nonché le relative autorità sanitarie, tutti costoro chiamati a definire le regole a partire dallo stato di diffusione del virus a livello locale, con forti rischi di interferenze e di sovrapposizioni.
Davvero un quadro difficile da interpretare, dove nel bilanciamento tra tutela della salute e esigenze delle categorie economiche prevale una tutela così potenzialmente differenziata della prima e delle seconde da rendere inefficienti entrambe e scontenti tutti. Così noi, il popolo sovrano, che in tempo di campionato ci trasformiamo in 50 milioni di commissari tecnici, ora ci trasformeremo in altrettanti milioni di comitati tecnico-scientifici, ognuno regola a sé stesso. Una situazione altamente preoccupante.