Il presidente polacco Duda ha proclamato con saggezza che si è trattato di un incidente e così la guerra delle parole minacciose è terminata al confine tra la martoriata Polonia e l’altrettanto martoriata Ucraina. L’impero russo, con quello tedesco, ormai scomparso militarmente ma ben attivo economicamente, continua a far sentire il suo passo minaccioso sulle terre che sono insieme nazioni distinte e secolarmente animate da un patriottismo senza eguali e, insieme, un impero con plessi nazionali dominati dalla nazione russa che nel mentre è impero e impero sempre minaccioso, perché sempre minacciato dall’accerchiamento. Un impero sempre in tal modo proteso alla minacciosa espansione territoriale, ponendo la storia europea e mondiale dinanzi all’enigma di dover perseguire la ragion di Stato in un plesso storico-economico-sociale attraversato da diverse sovranità e dove tutto si sovrappone e si urta e tutto fa fatica a ricomporsi nella matrioska imperialistica russa: zarista prima, sovietica poi, oligarchico-ortodosso-putiniana ora.
Ma il generale inverno e l’autoconservazione polacca hanno dato segnali eloquenti e lo stesso è successo nel corso di un G20 che noi italiani abbiamo letto in chiave nostrana, animati dalle diverse attitudini mentali che scaturiscono dinanzi alla novità dell’erompere di un quadro politico storicamente consapevole – dopo decenni di marionette orientate da poteri esterni od occulti – che si va aprendo una nuova lunga fase politica e culturale dominata dall’emergere di un nuovo conservatorismo di massa che anche nella politica estera deve dare forma a se stesso.
La legittimazione di Giorgia Meloni non può nasconderci il fatto che dal G20 i grandi della terra, pur sbilenchi e fragili ch’essi siano, hanno emanato un verdetto chiaro e ben evidente: la guerra imperiale russa di aggressione all’Ucraina deve finire, nonostante i capricci di un Macron in caduta libera in Francia e per questo pericolosissimo sulla scena internazionale e una Germania di Scholz ben determinata a non arretrare nella terra del potere industriale e che ha bisogno della pur minacciosa ma capitalisticamente centralizzatrice Cina.
Un’operazione da manuale, l’avrebbe definita Raymond Aron, che di pace e di guerra se ne intendeva perché l’aveva studiata tutta la vita. Una pace nella guerra che avanza, ora che le nevi cominciano ad accumularsi e la potenza raccogliticcia russa si esprime in una tentazione costante di stragi e di terrore seminato su povere popolazioni inermi. Il prestigio di Zelensky si sta internazionalmente sgretolando: il suo popolo soffre e geme e il patriottismo non può condurre alla guerra e alla morte degli innocenti quando forse una possibilità di trattativa si staglia all’orizzonte nella terribile luce degli inverni balcano-slavi. Il grano e i prodotti chimici per l’agricoltura hanno ripreso a solcare i mari. L’Impero ottomano che sta rinascendo dinanzi ai nostri occhi è il mediatore in un’operazione da manuale per avvicinare le parti in lotta e tutte e due al mondo intero. La diplomazia lavora.
Tra poco, il 27 novembre, sarà la prima domenica di Avvento: la pace deve giungere… non può aspettare.
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