Le foto ufficiali lo hanno messo in seconda fila, ma a Mario Draghi la cosa non importa molto: la cosa scivola via come le pressioni che gli fanno i partiti a Roma. In realtà, il premier è tornato dal G7 della Cornovaglia diverso da come era partito. A sancire il cambiamento è soprattutto l’asse con Washington. I tempi di quando Donald Trump twittava a favore del suo amico “Giuseppi” sono lontani, e così pure le fughe laterali dei leghisti verso la Russia e soprattutto dei grillini verso Pechino. La Cina resta un interlocutore scomodo, come conferma la sfida lanciata dall’incontro tra l’ambasciatore in Italia e Beppe Grillo. Ma il G7 della Cornovaglia e il bilaterale tra Draghi e Joe Biden mettono il sigillo sulla netta svolta annunciata dal premier nel discorso di insediamento: “I due pilastri della nostra politica estera sono l’europeismo e l’atlantismo”, ha ribadito a Carbis Bay.
La Casa Bianca ora punta sul presidente del Consiglio italiano per annodare un dialogo con l’Europa. L’alleato di ferro resta la Gran Bretagna, ma il distacco di Londra da Bruxelles impone agli Usa di consolidare altri punti di riferimento oltreoceano. E al momento Draghi appare quello più affidabile. Angela Merkel è a fine mandato, Emmanuel Macron è impegnato a decidere sul proprio futuro presidenziale. Draghi invece è all’inizio di un impegno che lo vede saldamente alla guida del governo fino al 2023, ma potrebbe anche spiccare un balzo verso il Quirinale oppure verso Bruxelles. All’Italia tocca anche la presidenza del G20, quindi un ruolo importante di mediazione con Russia e Cina. A entrambi, Biden e Draghi, fa comodo rinsaldare i rapporti.
Draghi non userà l’appoggio di Washington come Conte sfruttò il tweet di Trump. Tuttavia in Europa il suo profilo si è rafforzato. Nell’incertezza generale, l’ex presidente della Bce appare un riferimento imprescindibile, e questo farà comodo all’Italia nel momento in cui si entrerà nel vivo della gestione del Recovery fund. Il partito del rigore europeo è sempre in agguato e Draghi ora incarna non l’Italia che critica l’Europa a prescindere, né quella impegnata in trattative infinite per strappare concessioni a Bruxelles, ma quella che si rimbocca le maniche e cerca di mettere a frutto gli aiuti in arrivo.
A Roma, invece, ci vuol altro. Nessuno tra i partiti che sostengono il governo si fa incantare dagli endorsement ricevuti da Draghi, come nessuno si inchina davanti al suo passato. La forza del presidente del Consiglio è quella che ha mostrato in questi mesi: idee chiare, poche parole comprensibili a tutti, capacità di intervenire sui fatti, come è accaduto proprio durante il G7 quando nel governo si è creato il corto circuito comunicativo sui vaccini. Da un lato il ministro Speranza ha limitato l’uso dell’Astrazeneca agli over 60, dall’altro il commissario Figliuolo ha lamentato il rischio di un rallentamento. Draghi si è assentato dal vertice inglese e ha telefonato a entrambi dettando la linea: nessun ulteriore ritardo della campagna vaccinale. Restano le vere sfide che attendono l’esecutivo: la riforma della giustizia e quella del fisco. Qui la pacca sulla spalla da Biden serve a poco.
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