In queste ore sta suscitando un certo clamore la vicenda di Omar Favaro. Era già stato condannato per il duplice omicidio di Novi Ligure (nel 2001, commesso con Erika De Nardo), e adesso rischia una condanna per maltrattamenti nei confronti della sua ex moglie. Si sono conosciuti nove anni fa e si sono sposati, mettendo al mondo una figlia. Durante il lockdown i rapporti si incrinano e, ora, la ex moglie elenca una serie di maltrattamenti subiti a più riprese. La magistratura farà le opportune verifiche, ma una domanda si pone: può un uomo cambiare veramente? O è condannato, in fondo in fondo, a rimanere sempre lo stesso?
“La pretesa di possedere noi la nostra vita, dove tocca il culmine della umiliazione? Il culmine dell’umiliazione per me che pretendo di avere in mano io la mia vita, è che la mia vita, per vivere, per continuare a vivere, abbia bisogno che un Altro la perdoni. Il perdono è la cosa più difficile da accettare perché è proprio il tagliare alla radice la nostra presunzione” (don Luigi Giussani, Si può vivere così?).
Don Giussani concentra in queste poche righe il cuore della questione. Nella vicenda di Omar c’è la vicenda di tutti: continuiamo a fare i nostri sbagli. C’è in noi una sorta di legge non scritta che impedisce l’impeccabilità. La Chiesa lo chiama “peccato originale”. Fin dal principio, quando l’unico protagonista sembrava essere il desiderio di Dio di creare, si è fatto strada un altro desiderio, quello di distruggere. Ogni peccato, dopo quel primo peccato, porta in sé il marchio della distruzione. Anzitutto di noi stessi, come dice Gesù nel Vangelo di Giovanni: “Chiunque commette il peccato è schiavo del peccato”. Il male colpisce chi lo fa, illudendolo di poterne rimanere indenne. Il male colpisce chi lo riceve perché tende a togliere, appunto, la possibilità del perdono.
I giorni di Quaresima, che stiamo vivendo, ci ricordano qual è stato il metodo usato da Dio per rompere questa catena glaciale. Con la morte in croce del Figlio ha deciso di pagare Lui per noi, introducendo l’irreversibilità del suo perdono nei nostri confronti. Questo sguardo di Cristo alla nostra umanità ci permette di non morire sotto il peso delle nostre colpe, riconoscendo attorno a noi tutto ciò che ci mobilita per una vita sempre più interessante e appassionata.
Questa è, del resto, la promessa di Gesù agli uomini e alle donne che incontrava: il centuplo quaggiù e la vita eterna. La possibilità del cambiamento non sarà, quindi, nell’elenco delle cose che ancora in noi non vanno, o degli sbagli che continuiamo a fare, ma in uno sguardo nuovo da cui lasciarsi conquistare. Parlando in classe ai ragazzi di questo “sguardo nuovo”, ho fatto vedere il cortometraggio intitolato Butterfly Circus. È la storia di Nicholas James Vujicic, un australiano di 41 anni nato senza arti a motivo della tetramelia. Nel video, usando l’immagine del circo, descrive il suo incontro con la fede, che è consistito con la possibilità di essere guardato per quel che è e non per quello che gli manca. Al termine della visione in classe è scoppiato un applauso spontaneo dopo minuti di un silenzio molto intenso.
Tutti desideriamo essere guardati come il protagonista del cortometraggio. Possiamo far finta di niente, possiamo negarlo a noi stessi, possiamo accontentarci di altro, ma sappiamo che non possiamo fare i furbi: abbiamo bisogno di quello sguardo per vivere.
Noi, come Omar, e come tutti quelli che non imparano mai dai propri errori, dobbiamo affrontare l’insistenza di Uno che non ci molla mai. Questo è ciò che permette il vero cambiamento dell’uomo. E se la lotta sembra più dura, come dice il video, significa che il trionfo sarà più grande.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI