Disfatto il presepe, cercavo di sistemare il Bambin Gesù. Un ultimo sguardo, prima d’incartarlo bene perché il gesso non venisse striato i mesi prossimi. L’ho (ri)guardato più volte: ha degli occhi che mi (ri)guardano. Sono il mio più grande affare privato. Mai prima – pensate quanto sbadato sono! – mi ero accorto che il mio Gesù Bambino, al naturale, è nudo, “come mamma l’ha fatto”! Quello che mi pareva un body intimo, una sorta di mutanda per neonati, in realtà l’han dipinto dopo: toccando il colore, il colore mi è rimasto nell’unghia. Un segno? “Ecco per te il segno!”, mi pare m’abbia detto un angelo di passaggio.



Confidenza? Di più: mi pareva addirittura che la statua, dietro la quale se ne stava confinato Iddio, mi avesse ringraziato per avergli grattato via quel colore aggiunto. Ingiusto, tra l’altro, perché non rendeva il merito alla sua bellezza naturale: “Meno male che m’hai rimesso come la Madonna m’ha fatto. Nudo! Truccàti, son tutti bellissimi”.



Ho chiuso lo scatolone, ma ho lasciato fuori quella statua: la più bella delle statue. “Tienimi nudo, accanto a te per sempre!” gli ho letto sulle labbra. Perché nudo è nato il mio Gesù: la sua nudità è il regalo più improvvisato che potesse farmi. San Paolino di Tarso, pezzo da novanta del cristianesimo originale, dalla sua testa matta fece sgorgare parole mozzafiato per dipingere la nudità del suo Gesù: “Spogliò se stesso”.

Ha scritto esattamente così, e c’è da credere che gli abbian tirato addosso uova a quell’eretico. Disse che si spogliò dopo che aveva scelto di non fare il prezioso facendo il raccomandato, per il fatto d’essere figlio di Papà: “Non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio” (Fil 2,6-7).



La nudità – quella pudìca dei bambini, non la volgare delle carni in vista – fu la sua scelta di campo. Istruirà, chi gli andrà dietro, che la nudità è un dono: la si conquista lentamente. Coi vestiti sfarzosi, diamantati, con panni damascati tutti gli avrebbero fatto le riverenze: troppo facile (con)vincere così! Scelse d’apparir nudo, come tutti i nati di quel tempo, come tutti i nascituri dei tempi a venire. Poi andrà oltre: morirà nudo, lasciando che la veste che la Mamma gli ha cucito se la giochino i soldati malavitosi.

Ancora oltre quando, risorgendo nudo, imporrà a Tommaso di toccargli la carne viva: le dita dentro il taglio, come Maria ficcava i pannolini sotto i suoi organi bambini. “L’amore vero – gli confidò un giorno il suo Giuseppe carpentiere mentre gli narrava la storia d’amore con la Madonna –, ti spoglia di tutto. Sono rimasto nudo quella volta: tutti gli occhi puritani a dire che ero matto a comprenderla. Non lo ero: è che se ti vergogni della tua nudità, non è la passione giusta quella che stai vivendo”. Parole nude, dei vestiti d’atelier.

L’hanno (tra)vestito gli uomini di chiesa il Dio nudo: “Un po’ di pudore, per favore!” si sono scusati, non capendo d’avere cornificato la nudità di Dio. Che, nel frattempo, si era già reinventato. Ancor più nudo: “Prendetemi, mangiatemi: sono tutto vostro!” Ancora oggi si fa beccare nudo, dentro un pane così nudo di lievito da rimanere azzimo, nel momento dell’Eucaristia: “Il corpo di Cristonudo (Amen)”. Sono anni che, affacciandomi su quel Pane nudo, mi pare d’avvertir le parole di una pubblicità della Triumph, casa d’intimo femminile: “Stasera venite svestite eleganti”. Esattamente così mi rivendica il mio Gesùcristo. Svestito dei miei meriti, elegante perché assolto dai demeriti. Un Marco svestito-elegante.

Qualcuno azzarda: “Quando farà freddo, si metterà indosso qualcosa”. No, signori miei: nudo rimarrà anche sotto le intemperie della (mia) storia. Resterà lì seduto, nei miei giorni friabili, discinti, fugaci: “Sto da Dio qui!” andrà dicendo. Poi, se troverà la porta chiusa per mia vergogna, andrà avanti e indietro, come l’amata del Cantico dei Cantici. Sempre nudo, perché io mi svesta al più presto. Chi vorrà toccarlo nella carne, non cerchi nessun guanto: per i trasgressori e i feriti, pure per i galeotti, ha deciso di rimanere nudo. Perché chi è rimasto nudo non si vergogni di Lui, che crede in me prima ancora che io creda in Lui.

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