L’effetto stimolativo della spesa pubblica garantita da indebitamento europeo – per l’Italia circa 191 miliardi complessivi fino al 2026 a partire da fine estate – potrà andare dallo 0,6% del Pil annuo all’1,5%, dal 2022, a seconda del tipo di impieghi. Questa prima stima fatta dallo scrivente porta l’attenzione sulla produttività della spesa pubblica straordinaria come ora impostata nel Pnrr che il Governo invierà alla Commissione dopo un esame da parte del parlamento entro il 30 aprile o poco dopo.
Al momento l’ipotesi è che tale produttività sarà poca, pur non irrilevante. I partiti premono per spesa assistenziale non produttiva. La condizionalità – pesante – dell’Ue spinge verso più liberalizzazioni ed efficienza amministrativa. Se questa fosse rispettata, l’effetto moltiplicatore e modernizzante della spesa pubblica sarebbe maggiore. Ma le riforme richieste dall’Ue dovrebbero trovare in Italia una maggioranza liberista capace sia di resistere al protezionismo sociale e corporativo-settoriale, sia di ridisegnare in poco tempo un sistema normativo e amministrativo statale abnorme e inefficiente.
Infatti, con realismo, Mario Draghi ha risposto alla pressione riformatrice europea imponendo il criterio del “faremo quello che è possibile”, considerando che in pochi anni è difficile cambiare un modello ormai “incrostato” di statalismo dissipativo e arretrato. Infatti, qualcosa si potrà fare, ma non tantissimo. Pertanto la spinta maggiore all’economia sarà nelle mani del settore privato che in Italia si è adattato da decenni all’inefficienza del sistema generando super-efficienza e creatività all’interno dei cancelli della fabbrica o dell’azienda di servizi.
Si può sperare che gli imprenditori siano lasciati più liberi o meno ostacolati? Se Draghi riuscirà a governare nel prossimo biennio è probabile. In caso contrario non lo è, a meno che nei partiti non emerga una più intensa luce liberalizzante.
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