Nel day after delle elezioni regionali e del referendum sul taglio dei parlamentari molte sono le voci che si levano promettendo una serie ulteriore di modifiche costituzionali, una “lista della spesa” preludio a magnifiche sorti e progressive per il Paese e la sua Carta fondamentale, che come ben sappiamo dalla storia costituzionale degli ultimi due decenni (ma il rosario potrebbe essere sgranato a partire dalla stessa entrata in vigore della Carta) necessita di qualche piccolo o, più ragionevolmente, grande cambiamento.



Ha formalizzato l’elenco delle cose da fare dopo il primo passo la direzione del Partito democratico, enunciando le condizioni per aderire al Sì dei 5 Stelle: modificare la legge elettorale, modificare il collegio elettorale per il Presidente della Repubblica portando da 58 a 36 i delegati regionali (per mantenere il “tradizionale” (sic!) rapporto tra delegati regionali e parlamentari, parificare l’età per l’elettorato attivo tra Camera e Senato (da 25 a 18 anni per tutti), modificare la norma costituzionale che impone collegi regionali per l’elezione al Senato per creare anche collegi interregionali e rimediare così al problema della rappresentanza delle minoranze nelle regioni piccole creato dalla riduzione del numero dei parlamentari (ma non lo si sapeva prima? Non si poteva farlo con la presente legge costituzionale? Forse un legislatore costituzionale dovrebbe sapere se crea qualche problema con le proprie leggi).



A ben vedere, si tratta ancora di norme di dettaglio o, al massimo, di regole che si sarebbero dovute cambiare per tramite della legge costituzionale ormai approvata con l’accordo di tutti. Ed è strano, pertanto, sentir parlare di “stagione delle riforme”.

Ci sono poi altre norme da cambiare, quali i regolamenti parlamentari, necessari a rendere il lavoro delle Camere efficiente e completo. Ma lasceremo questo agli specialisti.

Due questioni vanno ora messe in luce: la riforma elettorale, riflettendo soprattutto suoi risvolti relativi alla “qualità” della rappresentanza e dei rappresentanti, e la riforma del bicameralismo perfetto.



Cominciamo da quest’ultima: se ne parla da decenni e mai si realizza. Senza fare analisi (di cui i testi di diritto costituzionale sono pieni) credo che il vero problema sia di natura culturale. Per il centro, le Regioni politicamente non esistono, o perlomeno non esistono come soggetti costituzionalmente rilevanti (benché un intero Titolo della Costituzione sia loro dedicato), capaci di incidere sulla politica nazionale. Per convincersene, basta sentire le reazioni alla presente tornata elettorale regionale e comunale oppure le considerazioni fatte a Roma sul ruolo delle Regioni in tempo di Covid. Perché conferire loro una rappresentanza forte in un organo costituzionale nazionale? Eppure, senza le Regioni, non sarebbe stato semplice combattere la pandemia e continuare a combatterla. Come esito di questa deformazione culturale (e politica) continueremo a tenerci due Camere che fanno esattamente la stessa cosa, solo con meno personale politico, quando tutti i paesi europei a struttura decentrata hanno una seconda Camera di rappresentanza dei territori. 

La seconda “riforma” riguarda la legge elettorale, che si progetta come una riforma nella direzione del sistema proporzionale. Siamo convinti di questa ipotesi? Forse andrebbe segnalato che tra i problemi sottolineati in sede di campagna referendaria c’era quello della qualità della classe politica. Come vi si potrà rimediare? Rafforzando o indebolendo la presa dei partiti sulle liste elettorali? È noto che il sistema proporzionale amplifica tale problema. E non si tratta qui del problema tecnico di scegliere tra una delle due famiglie in cui si riparte la legislazione elettorale nel mondo, ma di tener presente che occorre lasciare spazio a qualche scelta quando gli elettori vanno a votare per la classe politica che li rappresenterà, qualunque sia la filosofia di fondo del sistema prescelto. Ma anche di questo si sente poco parlare. Sarebbe utile cominciare a metterlo a tema se si vuole effettivamente parlare di “stagione delle riforme”.