Il risultato delle elezioni francesi ha allontanato l’ipotesi di un Governo guidato dal Rassemblement National e tanto è bastato per dar vita a festeggiamenti in piazza a Parigi e a dichiarazioni soddisfatte oltralpe, anche da parte dei partiti dell’opposizione italiana. Secondo Gustavo Piga, professore di economia politica all’Università di Roma Tor Vergata, tuttavia, ci troviamo di fronte “all’ultimo campanello d’allarme per un’Europa che, per l’ennesima volta, ha voluto giocare col fuoco all’interno di un impianto di produzione di combustibili. Credo che siano rimasti solo poco più due anni perché l’Ue possa redimersi e salvarsi. Non so se la strategia di Macron, come qualcuno sostiene, fosse quella di far vincere il Rassemblement National per poter poi presentarsi alle presidenziali del 2027 con un elettorato disilluso da una cattiva performance di governo del partito di Marine Le Pen. Sta di fatto che ora i partiti che hanno vinto hanno l’ultima possibilità di governare l’economia in maniera tale da arrestare la crescita di RN”.



Come possono farlo?

Vi sono ovunque tracce empiriche su quel che alimenta questi populismi: le politiche economiche sbagliate che non sono attente ai sacrifici, ai problemi, ai drammi di quella parte della popolazione che non riesce a beneficiare dei progressi, come quelli tecnologici cui stiamo assistendo, che creano allo stesso tempo ricchezza e maggior disuguaglianza. Sicuramente in assenza di una politica fiscale espansiva e intelligente alle presidenziali assisteremo a un trionfo della destra populista, che potrà beneficiare del perpetrarsi, dal 2011 ormai, di errori costanti di politica economica. C’è, quindi, il rischio immenso di perdere un’occasione importante in due modi.



Quali?

Il primo è “alla Macron”, continuando business as usual. Abbiamo visto quanto poco il Presidente francese sia stato al servizio di una visione di lungo periodo espansiva dell’Ue prediligendo invece una visione miope e gretta nazionalista, non attenta alle dinamiche sociali. Il secondo è seguendo alcune proposte del Nuovo fronte popolare (Nfp), come quelle sul salario minimo e le pensioni, che mi ricordano quanto purtroppo già accaduto nel nostro Paese con il rischio che possa ripetersi in Francia. Se una di queste due opzioni dovesse concretizzarsi, i consensi per RN continueranno a crescere ulteriormente in vista delle presidenziali, con il rischio che l’Europa imploda per il tramite della Francia.



A quale fatto accaduto in Italia si riferiva poc’anzi?

Appena insediato, il Governo Conte-1 riuscì a discostarsi dal Fiscal compact e a ottenere dalla Commissione europea uno spazio fiscale che venne purtroppo sprecato con Reddito di cittadinanza e Quota 100, che non portarono alla crescita del Pil sperata, ma anzi a un misero +0,3% nel 2019. Questo perché non vennero potenziati gli investimenti pubblici, unico strumento per cui la politica fiscale in deficit può essere conciliata con un aumento della crescita e un conseguente abbattimento del rapporto debito/Pil. È per questo che come europeista resto terribilmente preoccupato nonostante il risultato delle elezioni francesi. E anche in Italia c’è poco da gioire a sinistra per la vittoria del Nfp se si continua a non volere la riforma del Fiscal compact e a non mettersi in gioco per cambiare le regole fiscali europee. Così facendo, la sinistra italiana non aiuta la soluzione del problema, ma anzi la complica.

Prima ha evidenziato l’importanza di dare attenzione alle fasce più deboli e meno abbienti, cosa che il Nfp è pronto a fare. Cosa non la convince nella proposta di politica economica dei vincitori delle elezioni francesi?

Non è rooseveltiana, è una politica fiscale fatta di mera ridistribuzione, un tampone per cercare di curare le ferite create dalle politiche macroniane, mentre quello che serve è far uscire il malato dall’ospedale e non tenerlo a letto badando semplicemente che sopravviva. Nelle proposte del Nfp non c’è alcuna enfasi sugli investimenti pubblici, il solo strumento per avere sia crescita, necessaria per rendere più grande la torta da redistribuire, sia stabilità dei conti pubblici, che è in grado di rassicurare i mercati. Vedremo se nei negoziati per creare un nuovo Governo verrà espressa la volontà di rinnegare il Fiscal compact con un’enfasi sugli investimenti pubblici.

Vista la procedura d’infrazione aperta nei confronti della Francia, con la necessità di far poi rientrare i conti pubblici, Bruxelles accetterebbe di veder rinnegate le proprie regole?

Penso che Bruxelles abbia l’intelligenza di non mettersi di traverso a una nuova proposta di politica economica proveniente da un Paese chiamato Francia che ha corso un grande pericolo. Non penso che il nodo riguardi la Commissione europea, ma la politica e il suo coraggio: la tecnocrazia può essere dominata dalla politica, se quest’ultima vuole.

La Germania non si opporrà?

Credo che la Germania si sia presa un bello spavento, non soltanto perché confina con la Francia, ma anche perché ha compreso che quel che sta accadendo lì può accadere anche al suo interno, soprattutto per la situazione nell’ex Germania dell’Est. Quindi, credo che Berlino capirà bene che non potrà semplicemente cercare di arrestare un movimento francese innovativo e più attento alle fasce deboli. Se lo facesse rischierebbe di giocare poi col fuoco in casa. Alla fine andando incontro alla Francia farebbe un favore a se stessa. Il vero problema è che, data la presenza di Macron e il sonnecchiare delle istituzioni europee, questo scenario positivo mi sembra meno probabile di quello negativo per la Francia e per l’Europa.

Visto che andiamo incontro a un periodo in cui le politiche fiscali dei principali Paesi europei saranno più restrittive, non sarebbe meglio che la Bce non portasse avanti una politica monetaria altrettanto restrittiva?

Se verrà trovato un percorso politico stabile in Francia, penso che la Bce renderà la politica monetaria espansiva anche più rapidamente di quanto ora previsto. Tuttavia, continuo a ritenere che il vero problema europeo, anche se la politica monetaria attualmente rimane restrittiva considerando i tassi reali, sia rappresentato dalla politica fiscale.

(Lorenzo Torrisi)

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