A Ischia continuano le ricerche di quattro dispersi, sulla stampa si invocano mappe di rischio e si attacca l’abusivismo, ma non ci sono progressi sulle responsabilità per quanto accaduto. Emerge però – lo riporta il Corriere – che l’ex sindaco di Casamicciola aveva inviato fino a pochi giorni prima della frana 23 mail di posta certificata per allertare del possibile disastro. Saranno i pm a dire se la Regione sapeva e non si è mossa. Proprio la Regione Campania ieri ha dato parere negativo sulla nomina da parte di palazzo Chigi di Simonetta Calcaterra, attuale commissario straordinario del Comune di Casamicciola, a commissario per l’emergenza post-alluvione. Il parere è vincolante.
Intanto si continua a scrivere di canali trascurati, di tempi biblici per fare qualsiasi cosa, di autorizzazioni e di consumo di suolo. Una materia complicata dove è facile perdersi, in un gioco di specchi tra gli enti coinvolti. Per capirci di più, ne abbiamo parlato con Massimo Rossati, pianificatore territoriale, docente a contratto di urbanistica e tecnica urbanistica del paesaggio nel Politecnico di Milano.
Pichetto Fratin, prima di fare retromarcia, ha descritto una situazione disastrosa, nella quale i sindaci sarebbero i principali imputati per eventi come quello di Casamicciola. Secondo lei?
Ritengo che ci sia un concorso di colpa per questa situazione. Le regole di buon senso della pianificazione sono spesso sottovalutate perché ci si sofferma alla sola cartografia di azzonamento.
Che cos’è?
L’azzonamento è l’attribuzione di funzioni e volumi ad una determinata area: centro storico, area residenziale, industriale, servizi. Ad ognuna di tali aree corrisponde una determinata normativa.
Continui. Diceva che ci si ferma alla cartografia di azzonamento.
Invece la conoscenza del territorio è fondamentale per poter decidere se e come realizzare un intervento. Questa conoscenza richiede anche un approfondimento in materia di dissesto idrogeologico, di geologia, di invarianza idraulica, di rischio. Cose che purtroppo vengono viste come un aggravio di procedura. Fino a che non succede un evento catastrofico come quello che abbiamo visto.
Ci fa una rapida sintesi di come si arriva da una concessione edilizia alla scoperta delle irregolarità e all’eventuale sanatoria?
Lo strumento di pianificazione generale predisposto dal comune definisce la cornice nella quale si possono effettuare delle trasformazioni, sia in termini di volumetria, di distanze, di altezze, su superficie lorda, e via dicendo. Il privato presenta una proposta di trasformazione che deve non solo essere aderente con la normativa urbanistica, ma anche con il regolamento edilizio vigente e con il regolamento d’igiene. Qualora fossimo all’interno di un’area protetta, come ad esempio un parco, la proposta deve sottostare anche alle regole del piano territoriale del parco.
Se non c’è rispondenza tra il progetto e le norme?
Scatta il diniego sia per la parte paesaggistica – per quanto di competenza del parco che spesso ha la delega alle funzioni paesaggistiche – sia per la parte edilizia (di competenza del comune) all’attuazione del progetto.
E se manca la corrispondenza, invece, tra il progetto approvato e l’opera realizzata?
In tal caso scatta una procedura che, se rientra in certi limiti di tolleranza, può essere sanata, in caso contrario l’intervento può essere oggetto di demolizione con relativa messa in ripristino.
Quali enti sono interessati e come?
Di norma è interessato il comune e nella fattispecie il suo ufficio tecnico per quanto riguarda l’istruttoria tecnica per la verifica di conformità delle norme. Poi dipende sempre dal posto in cui si opera. Per intenderci, se siamo all’interno di un’area protetta, potrebbe intervenire anche l’Ente parco ad esempio per la relativa autorizzazione paesaggistica ai sensi del D.lgs 42/2004. Tuttavia molto dipende dalla complessità e dal tipo di progetto, in base al quale gli attori in gioco possono aumentare.
Come si arriva a costruire qualcosa in violazione di ogni licenza edilizia?
Non rispettando le norme, o pensando che modifiche anche limitate al progetto possano essere considerate di secondaria importanza. Ce ne siamo accorti con il superbonus 110%: sono pervenute nei vari comuni tantissime richieste di sanatoria per edifici non conformi alle norme urbanistiche ed edilizie.
Non conformi in che misura?
Molte sono veramente limitate e riguardano ad esempio prospetti differenti rispetto a quello progettati, ma altre possono rappresentare un problema non indifferente soprattutto quando si concretizzano in luoghi con evidenti limitazioni.
Un esempio su tutti?
La verifica dell’altezza di falda freatica mi permette di capire se posso e in che modo dare la possibilità ai privati di utilizzare l’interrato per la realizzazione del loro edificio. Se la falda è molto alta, o si pone un divieto o si fa in modo da garantire l’impermeabilizzazione. Non rispettare queste semplici ma importanti regole potrebbe portare a problemi anche di una certa rilevanza.
Qual è nello specifico il ruolo della regione?
La regione definisce il quadro generale della pianificazione territoriale, impone strumenti agli enti locali per meglio governare il proprio territorio nel rispetto delle sue peculiarità in una logica di sostenibilità e garantisce una visione d’insieme che il singolo comune difficilmente riesce ad assumere.
In queste ore abbiamo a che fare con concetti tecnici o espressioni apparentemente ovvi – messa in sicurezza del territorio, consumo del suolo, eccetera – salvo poi non capire come e perché gli strumenti regolatori non intercettano la realtà delle cose. Che ne pensa?
Che la materia è complessa e spesso vediamo persone che parlano o scrivono di queste cose senza comprendere pienamente il significato. Il consumo di suolo può avere molteplici declinazioni e non sempre ne si ha la consapevolezza. Per mettere in sicurezza un territorio è necessario prima conoscere. Solo conoscendo il territorio, investendo anche più tempo per una sua valutazione descrittiva, classificatoria e infine progettuale possiamo operare con un certo grado di ragionevolezza. L’imprevisto è poi sempre dietro l’angolo, ma in territori cosi complessi come quelli del nostro Paese è necessario non lasciare mai nulla al caso.
Tutti gli abusi sono uguali?
Assolutamente no. Ci sono abusi sanabili e che pertanto rientrano nelle procedure di sanatoria o fiscalizzazione, altri invece che non possono essere sanati.
Da cosa dipende maggiormente l’abusivismo? Da normative irragionevoli, dall’inadeguatezza degli strumenti urbanistici, dall’incuria, dal dolo puro e semplice, dall’eccessivo grado di burocrazia?
L’abusivismo dipende da una molteplicità di fattori tra cui anche la burocrazia. A volte capita che le procedure amministrative siano talmente complesse e con costi così eccessivi per il tipo di modifica che si intende promuovere, che qualcuno potrebbe anche soprassedere nell’attivazione dell’apposita procedura di variante. Ciò non toglie che in passato si sia costruito in modo spregiudicato in attesa di un “condono edilizio”; possibilità questa che, a mio modesto modo di vedere, non deve più accadere.
Il presidente campano De Luca ha subito invocato una operazione-verità, dicendo che a Ischia si è costruito dove non si doveva. Andava proibito. Ma De Luca poteva non sapere?
Non ho presente le normative urbanistiche della Campania, in quanto essendo materia concorrente tra Stato e regioni ogni ente regionale legifera in materia. Tuttavia posso dire che in altre regioni esistono degli strumenti che permettono di conoscere e tenere monitorate le trasformazioni del territorio, così da poter fornire supporto agli enti locali – che hanno competenza nella redazione dei vari strumenti urbanistici – o definire limiti o vincoli sul territorio.
Qual è il ruolo in questa vicenda del condono fatto dal decreto Ponte di Genova nel 2018 firmato da Conte e in particolare dell’articolo 25?
C’è già un dibattito politico molto acceso sul tema sul quale ovviamente non voglio entrare. Onestamente penso che le procedure di sanatoria debbano essere attentamente valutate e ponderate rispetto al tipo di abuso commesso. Semplificare, con un’apposita procedura, un tema così complesso non è facile e a volte, come avviene nelle cosiddette analisi multivariate, semplificare troppo non permette più di avere un quadro realistico della situazione.
Leggiamo che il 94% dei comuni italiani sarebbero a rischio alluvioni e frane. È una quantificazione seria? Cosa si può fare davanti a una percentuale del genere?
Il 94% dei comuni non corrisponde necessariamente al 94% del territorio. Magari solo una minima parte del comune è oggetto di rischio e su questa minima parte bisogna lavorare al fine di ridurlo con interventi mirati, efficaci, attenti alle peculiarità locali.
C’è chi invoca un completamento della “carta geologica” del territorio italiano. È sufficiente?
Nella regione in cui opero è obbligatorio predisporre la fattibilità geologica in accoppiata con lo strumento urbanistico comunale. La carta geologica italiana è sicuramente importante, ma poi ogni singolo comune deve procedere a valutare nel dettaglio la sua situazione geologica, idrogeologica e di invarianza idrica.
Il Pnrr mette a disposizione 2,5 mld per il dissesto. Un’inezia. Non sarebbe stato meglio dare all’Italia la possibilità di scegliere quanto indebitarsi e come destinare i fondi, invece di farselo dire dall’Ue?
È vero che 2,5 miliardi sono pochi, ma a fronte di una quantità limitata di risorse si dovrebbe aguzzare l’ingegno e spingere sulle vere priorità. Purtroppo, in una logica di dare “un colpo al cerchio e uno alla botte” le poche risorse vengono frammentate e distribuite sul territorio. Serve una pianificazione di lungo respiro con la definizione di procedure snelle e capaci di dare le giuste priorità rispetto al grado di rischio.
(Federico Ferraù)
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