Agire prima di dover piangere sia per i morti, sia per i danni economici. Il territorio italiano è tra i più esposti nel mondo al rischio di catastrofi ambientali per sua configurazione orografica e collocazione in un’area molto sensibile al cambiamento climatico. Ma questi rischi sono mitigabili da un’evoluzione della prevenzione. Pertanto sarebbe logico che l’Italia la sperimentasse con approccio d’avanguardia, in particolare fornendo ai decisori nazionali e locali informazioni precise sui rischi/vulnerabilità e sulle soluzioni per ridurli.



Le conoscenze scientifiche esistono. Manca uno strumento integrato di monitoraggio continuo su tutti i rischi che potrebbero attualizzarsi in un dato territorio. Per esempio, se si chiede a un ricercatore nel settore del rischio idrogeologico di simulare cosa accadrebbe in un dato luogo se ci fosse una bomba d’acqua, questi ha gli strumenti cognitivi per definire lo scenario poi da trasferire alla conduzione politica del luogo stesso e all’ingegneria delle soluzioni di prevenzione. Ma per allocare le risorse in base alle priorità, un decisore entro un perimetro territoriale ha bisogno di mappe sistemiche che indichino anche il rischio sismico, oltre che alluvionale, combinato con la vulnerabilità dell’ambiente costruito e quelli climatici, tra cui siccità, salinizzazione delle acque dolci, impatti termici, epidemiologici (per vegetali, animali e umani).



Tempo fa chi scrive lavorò in un’iniziativa dell’Onu (Un-Idndr) con la missione di elaborare un modello economico della prevenzione. In teoria fu facile: se spendi 10 prima risparmi 100 dopo perché si evita il caso peggiore. In pratica, i Governi consultati nel globo, per lo più democrazie, espressero una posizione dubbiosa perché senza il consenso dato dall’evidenza del rischio la spesa di quei 10 prima e l’eventuale modifica del territorio sarebbe stata problematica. Oggi però la frequenza di eventi estremi e di nuovi pericoli sta aumentando e ciò rende non più credibile che si tratti di fenomeni rari e imprevedibili. Pertanto la prevenzione ha un potenziale maggiore di consenso. Ma questa nuova consapevolezza va consolidata con strumenti di precisazione continua: modelli sistemici del rischio alimentati da sensori satellitari, aerei e a terra.



Il punto: la tecnologia c’è, i supercalcolatori anche e, soprattutto, la costruzione di un modello nazionale con capacità descrittive locali costerebbe relativamente poco perché bisognerebbe integrare risorse già esistenti senza necessità di crearle ex novo. E il modello innovativo potrebbe essere esportato.

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