Lasciate ogni speranza, voi che vi accingete a entrare nel 2023. Non ha lasciato dubbi Christine Lagarde nell’ultima conferenza stampa della Bce di un 2022 sconvolto dal ritorno della guerra in Europa. La Presidente della banca centrale ha anticipato tassi in rialzo per l’anno venturo.

A fronte peraltro di una frenata delle economie del Vecchio continente che ha il sapore della recessione. Ma la medicina del costo del denaro in salita, almeno fino al 3,50% (mica poco dopo anni di tassi negativi) non sarà sufficiente a debellare l’inflazione prima del 2025. Non solo. Archiviata una volta per tutte la stagione del whatever it takes, l’Italia rischia di capire ben presto quanto peserà la mancanza di Mario Draghi, fine tessitore di trame politiche sia a Francoforte che a palazzo Chigi.



È in pratica finita la stagione degli acquisti dei titoli di Stato sul mercato. Anzi. Ogni mese la banca entrale ritirerà dalla circolazione titoli per 15 miliardi di euro. Per finanziarsi, insomma, il Tesoro italiano dovrà rivolgersi a banche, finanziarie, fondi pensione, offrendo rendimenti adeguati, in diretta concorrenza con gli altri Paesi, a partire dalla Germania che ha in programma una ricca offerta per finanziare i suoi piani di efficienza energetica. Una concorrenza impari, viste le migliori condizioni dello Stato tedesco, che potrà spuntare condizioni migliori delle nostre.



“Un bel regalo di Natale”, ha ironizzato il ministro della Difesa Guido Crosetto di fronte alle novità annunciate da madame Lagarde che pure fino a pochi mesi godeva di fama di “colomba”. Ma, in realtà, la Presidente non poteva fare altrimenti. Un’agguerrita minoranza di falchi ha insistito fino all’ultimo perché la Bce aumentasse i tassi di 75 punti, invece che 50 in linea con la Fed. Ma la banca Usa, era il ragionamento, è a buon punto nella lotta all’inflazione con ottime prospettive di voltar pagina nella seconda metà del 2023. L’Europa è in condizioni peggiori: il costo della vita corre a doppia cifra in Germania, Italia e Spagna. I margini di intervento dei Governi sono assai più ridotti perché tutti, nessuno escluso, stanno aumentando il debito per dare un sostegno a imprese e famiglie schiacciate dalle bollette. È vero che la stretta su gas e petrolio per ora si è allentata. Ma nessuno si illude che l’equilibrio (instabile) possa durare all’infinito. Anzi, lo sbilancio tra i gas in arrivo e quelli consumati è destinato a crescere, causa la concorrenza dell’Asia e o maggiori acquisti negli Usa.



Data questa condizione, non ha senso l’obiezione per cui l’inflazione europea non va combattuta con l’aumento dei tassi perché dipende dal costo dell’energia e non, come negli Usa, da eccessi di spesa per finanziare l’uscita dalla pandemia. A parte che pure in Europa, con la lodevole eccezione dell’Italia (finché dura), si avvertono i primi scricchiolii sul fronte dei salari. Il fatto che l’inflazione sia provocata dal boom dei prezzi di gas e petrolio è un’aggravante che ci costringe a dirottare risorse e a contenere il più possibile le spese. In un mondo che consuma di meno, del resto, è difficile esportare di più, come l’Italia ha saputo fare in questi anni in maniera quasi prodigiosa. La ripartenza dell’economia cinese, gradita in particolare ai tedeschi, si tradurrà peraltro in un’esplosione dei prezzi dell’energia.

Insomma, non basta aver fatto i compiti prima e meglio che in passato come è avvenuto in questo primo scorcio di legislatura. L’Italia sarà comunque obbligata a un supplemento di stress alla ricerca della competitività perduta da almeno vent’anni. E dovrà farlo in condizioni più difficili. Ma può farcela, se saprà accelerare sul fronte delle riforme e della spesa dei fondi del Pnrr. Purché non si riduca a combattere con un braccio dietro la schiena rifiutando per motivi ideologici l’adesione al Mes. Non si tratta di battere cassa (a condizioni più severe), ma di consentire l’avvio dell’Unione bancaria che consentirebbe di allargare il credito, oggi alle prese con le rinnovate richieste della finanza pubblica, alle nostre imprese. Tutto qui.

Attenti a evitare l’ennesima guerra di bandiere (ricordate l’articolo 18) con il risultato di dover cedere più avanti in uno stato di necessità.

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