“Dopo il voto in Gran Bretagna l’Europa dovrà trovare un nuovo patto di equilibrio tra Francia e Germania e l’Italia sarà una delle prime a farne le spese, perché rischia di essere estromessa dal Mediterraneo”. Per l’economista Giulio Sapelli il nostro paese è caduto molto in basso, è ormai prossimo al baratro, come mostrano i casi emblematici di Ilva e Popolare di Bari. “Non è il momento di dilaniarsi, anzi bisognerebbe che l’intera classe politica italiana si guardasse un po’ allo specchio: è il momento di un governo di salvezza nazionale che sappia affrontare, tutti assieme, alcuni punti cruciali: problemi europei, politica economica, occupazione. Altrimenti, è la fine”.
In effetti il voto inglese provocherà più di una scossa. “Abbiamo fatto un terremoto” ha subito dichiarato Boris Johnson…
Il terremoto è arrivato e la sterlina è schizzata alle stelle. Questo conferma e rafforza una cosa che ho sempre detto, anche quando parlavamo dell’Italia: gli oligopoli finanziari, quelli che fanno girare la giostra dei mercati, premiano soprattutto la stabilità politica. Se c’è, i mercati sono neutrali e molto più democratici della politica economica europea, che in qualche modo dipende dal peso politico degli Stati nazionali. E la sterlina alle stelle vuole anche dire che non si prevedono le massicce fughe di capitali che tutti hanno finora minacciato.
Ma che assetto di Europa potrà venire fuori da questo voto, che ha premiato Johnson con una maggioranza netta che non si vedeva dai tempi della Thatcher?
È ancora presto per delinearlo. Sicuramente è un’Europa che deve ritrovare un’equilibrio di potenza, come successe dopo il Congresso di Vienna e la morte di Lord Castlereagh, quando gli inglesi, che avevano dovuto occuparsi dell’Europa perché Napoleone era stato sconfitto, decisero poi di disinteressarsene. E non mi pare siano successi grandi sconquassi, se non che il peso della Prussia divenne predominante. Diciamo, allora, che verrà fuori un’Europa dove il conflitto tra due nazioni che non possono non andare d’accordo, ossia Francia e Germania, si dispiegherà pienamente. E a farne per prima le spese, a meno che non si faccia una mossa audace, cioè un’alleanza economica e politica con la Germania, sarà l’Italia.
Perché?
Perché l’Italia è tradizionalmente esposta sul Mediterraneo. Se nell’Ottocento era un mare franco-inglese e dopo la Seconda guerra mondiale è diventato un lago atlantico dominato dagli americani, oggi abbiamo una Russia prepotentemente in campo con l’appoggio della Turchia, che ha siglato un accordo con la Libia ispirato dai francesi, proprio con l’obiettivo di indebolire la presenza italiana. Quindi o l’Italia si allea in qualche modo con la Germania, che pure non abbandonerà certo i nemici francesi, con cui i tedeschi restano alleati, a partire dall’industria militare, o i francesi ci estrometteranno dal Mediterraneo. Anche perché i francesi sono molto spregiudicati: studiano ancora la guerre economique, hanno una diplomazia di rango e una classe dirigente di altissimo profilo.
Nel Parlamento europeo l’uscita dei britannici non indebolisce Ppe e sovranisti, ma colpisce i socialisti e l’area liberale cui fa riferimento Macron. Avremo di nuovo una Ue a forte trazione tedesca?
Bisognerà vedere come verrà gestito il delicato periodo post-Merkel. Se lo faranno bene, per noi ci sarà una speranza.
Che cosa intende?
L’Europa è un impero senza Costituzione, dipende dalle Corti di giustizia, dai colpi di mano, però ha una formidabile tecnocrazia, un potere non eletto che può fare tutto quello che vuole. Conterà molto chi influenza questa tecnocrazia, dove i francesi sono molto presenti, così come gli spagnoli e altri paesi piccoli. Gli spostamenti nel Parlamento europeo sono meno significativi, perché è un Parlamento che non fa le leggi: a cosa serve?
Lo si vede anche nella questione, molto brutta, del Mes, non è vero?
Certo. Il Mes è un trattato internazionale e non un accordo Ue, è stato concepito così, su influenza tedesco-francese, proprio perché non si fidano del Parlamento europeo. Mentre l’Italia non ha peso nella burocrazia europea e infatti negli ultimi 30 anni i nostri rappresentanti a Bruxelles sono stati veicolo degli interessi dominanti: Prodi dei francesi e Monti soprattutto dei tedeschi e contro gli Stati Uniti.
A proposito di Mes, ieri l’Eurosummit ha accolto la richiesta dell’Italia di modificare, e non finalizzare, le conclusioni del negoziato. Che ne pensa?
Se anche Conte, Gualtieri, Amendola e Sassoli, i quadrumviri della subordinazione, dicono che bisogna modificare il Mes, vuol dire che quelli che criticavano il Mes, come il governatore Visco e il presidente dell’Abi Patuelli, non erano poi così sprovveduti. Per nostra fortuna, non siamo solo una democrazia parlamentare, ma una poliarchia, come insegnava Alberto Predieri, dove anche i grandi interessi possono avere un potere benefico, fanno emergere le ragioni, come appunto nel caso del Mes.
Torniamo alle conseguenze del voto inglese. Come vede ora la partita della Brexit?
Ho sempre sostenuto che l’Inghilterra torna nel suo alveo naturale, che è quello di un potere transatlantico. È innaturale che sia entrata nell’Unione Europea. Infatti è successo solo nel 1976, spinta dal fatto che gli americani non potevano avere solo la Nato e la bomba atomica francese per contrastare l’Unione Sovietica, che allora aveva una superiorità nei missili a medio-raggio. Londra, che era nell’Efta, entra nella Comunità Europea per apportare il suo apparato atomico, come deterrente all’avanzata dell’Urss in Europa.
Ma la Brexit segna una sconfitta per gli inglesi?
L’Inghilterra non perde niente. È più l’Europa che perde la Gran Bretagna. Va anche detto che l’Europa non ha mai capito gli inglesi. Basta vedere che cosa hanno fatto della common law o come hanno imbastardito le regole, creando dei mostri giuridici, della superiore civiltà giuridica anglosassone, fondata sulla libertà e non sull’autoritarismo di Stato come nell’Europa continentale. L’Europa è il pantano, Inghilterra e Stati Uniti sono il luogo del vento e degli uragani.
Non a caso Trump ha già chiesto un “grande accordo commerciale”. La cosiddetta Anglosfera sarà l’avamposto dell’Occidente nella sfida con la Cina?
È importante che Londra non si metta nelle mani di cinesi e sauditi. E la diplomazia americana, molto più evoluta e raffinata di Trump, si è subito messa in moto per un solido accordo commerciale. Primo, perché ha imparato a sue spese la follia degli inglesi quando nel 1997, rispettando un trattato che era stato firmato in condizioni del tutto diverse, hanno abbandonato Hong Kong. Secondo, perché con questo accordo si tirano dietro il Canada, l’Australia, alcuni paesi africani, Nigeria e Kenya in testa.
Come giudica l’esordio alla Bce della Lagarde? Che cosa dobbiamo aspettarci?
Non dobbiamo aspettarci niente da lei. Non sa neanche di cosa parla. È una donna raffinata, elegante, ma non credo che sia molto più preparata su questi temi di Di Maio: legge quello che le dicono i suoi suggeritori.
È più attenta ai suggerimenti della Francia o a quelli della Germania?
L’importante è che siano suggerimenti buoni. E Francia e Germania sembra che stiano cambiando su un punto: bisogna abbandonare le politiche di austerità. Ecco perché spero che la Lagarde sia condizionata bene, anche dagli americani. Se non vogliamo, come nessuno di noi vuole, che l’Europa cada a pezzi e che l’euro fallisca, perché sarebbe una catastrofe immane, bisogna fare della Bce una vera banca centrale e mettere il Parlamento europeo sopra tutto e non sotto a tutti.
Superare le politiche di austerità sarebbe una virata molto auspicabile per l’Italia, non è vero?
Certo. Ma mi sorprende la trasformazione di Gualtieri: prima di diventare ministro ha condotto battaglie quasi solitarie, come contro il bail in, senza fanatismi e con professionalità, mentre ora è diventato pro-austerity.
E a cosa può servire una politica italiana ancora molto litigiosa e rissosa?
Questo non è il momento di dilaniarsi, è il momento in cui c’è bisogno di un’unione nazionale, perché l’Italia è sull’orlo del baratro, vedi i casi Ilva e Popolare di Bari. Le Pmi non ce la fanno a tenere in piedi tutto il corpaccione dell’Italia. Allora la classe politica deve capire che su alcuni punti – problemi europei, euro, politica industriale, occupazione, patto dei produttori – bisogna lavorare tutti assieme. Come in un conclave: finché non arriva la fumata bianca, si sta lì. Altrimenti, è la fine.
(Marco Biscella)