Quali lezioni trarre dalla svolta di Santa Lucia? La Gran Bretagna ha deciso per la Brexit con una maggioranza schiacciante anche se per effetto del voto il Regno appare dis-unito come non accadeva dai tempi di Maria Stuarda: la Scozia ha votato con una maggioranza bulgara (55 seggi su 59) per il partito indipendentista, mentre in Irlanda del Nord gli unionisti, già decisivi per la maggioranza dei conservatori nella vecchia legislatura hanno perso quota di fronte ai partiti che mirano alla riunificazione delle due Irlande, mettendo così una solida ipoteca sul contrasto sull’accordo sul backstop, faticosamente raggiunto tra Londra e Bruxelles.
Ma queste considerazioni passano in secondo piano di fronte al trionfo di Boris Johnson da cui su possono trarre più lezioni politiche, al netto della Brexit:
– Le fake news hanno pagato. Il trampolino di lancio di Boris Johnson è stata un’asfissiante campagna anti-immigrazione basata sulla diffusione, via social network, di pillole di ansia e di panico sull’immigrazione, a partire dalla notizia di milioni di immigrati siriani e curdi alle porte di Londra. Piuttosto che la “denuncia” (falsa) del costo miliardario dell’assistenza sanitaria agli immigrati.
– Il populismo di destra paga. La promessa di far uscire i soldi dal cilindro (o di stamparli), funziona. Soprattutto se viene aiutato dall’harakiri della sinistra: Jeremy Corbyn è riuscito, con le sue campagne per gli espropri di case e proprietà industriali e finanziarie, a spingere una parte consistente dell’elettorato a votare per i conservatori. Senza trascurare l’effetto delle sue posizioni antisemite.
– Ora Johnson potrà avere il via libera a un budget di forte aumento di spesa pubblica, sia di natura sociale che infrastrutturale. È un atto dovuto, sia perché grazie a queste promesse i Tories hanno guadagnato elettori, sia per l’esigenza di spingere la crescita in un anno che sarà comunque cruciale per il progetto Brexit.
– I mercati soprattutto festeggiano la fine dell’incertezza che in questi anni ha fortemente frenato gli investimenti. La netta maggioranza del Partito Conservatore rende possibile l’uscita dalla Ue “senza se e senza ma” entro gennaio 2020. L’ampia maggioranza offre per giunta a Johnson un significativo margine di manovra nei negoziati sulle future relazioni con l’Ue.
Che conseguenze avrà l’esito delle urne d’oltre Manica?
– La sensazione è che il copione, salvo novità per ora improbabili, sia destinato a ripetersi il prossimo novembre negli Stati Uniti. Donald Trump, del tutto impermeabile alle conseguenze dell’impeachment, può contare su dati economici positivi, ma anche sul disarmo dell’opposizione che si divide attorno a fantasiose ricette di crescita del prelievo fiscale che sembrano fatte apposta per favorire l’attuale presidente.
– Di riflesso, tutti gli attori della scena mondiale si stanno attrezzando per una stagione all’insegna del protezionismo per meglio sostenere le proprie richieste. La globalizzazione è alle spalle.
– Non è in sé una notizia tragica. Le barriere commerciali possono favorire il decollo di nuove realtà economiche al servizio di scelte politiche a lungo termine. L’Europa a trazione franco-tedesca sta puntando le sue carte sulla politica ambientale. Scelta che imporrà vincoli fiscali e regolatori in piena dissonanza con l’America di Trump. Non è una strada facile, come dimostrano le difficoltà dell’auto elettrica. Ma è quanto si è deciso: Greta è ormai la Giovanna d’Arco europea alle prese con il Drago Trump e con l’incognita (ambigua) di Xi.
– E l’Italia? Non può che stare dentro l’Europa, pur con tutte le ambiguità sovraniste e le sue debolezze. Ma non sarà un percorso facile.