In un modo o in un altro, questa pandemia di coronavirus finirà. Tra vaccino e immunità di gregge, finirà. Bisognerà solo vedere a che numeratore si fermerà il contatore dei morti. La specie sfangherà anche questa. È sempre stato così. Il diluvio vero, per noi, l’apocalisse climatica come i dinosauri, non c’è mai stato. Il patto con il Signore, la Necessità o il Destino, o semplicemente la Fortuna, la dea bendata delle sorti, ha retto.
Ma niente sarà più come prima. Anche in questo non c’è niente di nuovo. Più volte, non è mai stato niente “come prima”. Quello che resta da pensare è “come” niente sarà come prima. Perché potrebbe essere peggio di prima. O meglio. È possibile che stia a noi deciderlo. Non è certo. Perché non è detto che siamo ancora in grado di fermare il meccanismo socioeconomico – il capitalismo, il suo sistema di produzione e riproduzione sociale oggi globalizzato – di cui siamo diventati ingranaggi.
Il meccanismo: l’economia capitalistica globalizzata, e la sua finanziarizzazione; l’usura senza resto di senso della Terra e di quelli che la abitano. Dove il Sacro è fuggito via dalla natura. Una volta il sacro era un bosco, una montagna. Oggi devi spiegare che se uccidi l’Amazzonia, se tagli le vene alla sua linfa verde, ti stai tagliando il respiro all’altro capo del mondo. Ma il Sacro è fuggito da lì, perché è fuggito dai cuori, per tanti, per troppi.
Siamo tutti diventati ingranaggi della divisione da noi, tra noi, dalla natura. La possibilità diabolica dello spirito. Anche quelli che in questo meccanismo-ingranaggio sono posti in posizione eminente; rotelle un po’ più grandi o molto più grandi, ma altrettanto fungibili, sostituibili da nuovi pezzi messi in produzione. Perché la scena possa andare avanti, tenuta su dallo stesso spettacolo. The show must go on. Ma chi è lo spettatore?
Il punto è come usciremo da una società globale che per reggere l’endemia delle pandemie a venire dovrà scegliere come governare quest’endemia pandemica; il carattere endemico del pandemico che la traverserà, non solo sanitario.
Se stringendo i bulloni del sistema che insieme l’ha pro-vocata, e cioè tirata fuori da una realtà dove il “locale” è ormai un concetto virtuale, e soprattutto ci ha fatti trovare scientemente impreparati, accecati dal profittío di tutti e di ogni cosa disponibile alla mano. Ovvero ribaltando questo sistema, quanto meno sul punto decisivo. Su come governare questo sistema, la sua forma “politica”.
E cioè se questa forma “politica” (Stati, leadership, relazioni internazionali) debba essere una pura sovrastruttura della struttura di produzione capitalistica (oggi interdipendenza globale delle economie pseudo-locali retta dalla loro finanziarizzazione) guidata dalla “astrattezza” del profitto; semplice servosterzo di dove il motore economico dei “liberi” interessi che lo muovono vuol portare la società. Ovvero se il servosterzo, il volante del sistema non debba essere ripreso, tenuto saldamente in mano da un altro livello dell’agire, razionale non rispetto allo scopo autarchico dell’economia (il profitto), ma rispetto ai valori che la società è chiamata a realizzare: i suoi veri scopi, come fini di un umano che è fine a sé stesso nelle “persone” di cui l’umano vive, e mai riducibile a strumento di assetti eteronomi alla sua felicità singola e collettiva.
Sotto l’urgenza legittima della “nuda vita” da salvare come presupposto di ogni vita vestita che si voglia pensare, come è giusto che sia, forte è la tentazione di convincersi che solo la mano ferma di un governo “autoritario” possa reggere le sfide della globalizzazione; che le strategie di controllo del virus diventino modello generale per gestire la società globale dell’endemia pandemica. Perché le più efficienti a garantire il presupposto esistenziale, la “vita”, di ogni società possibile.
Poca differenza fa, se questa forma “autoritaria” avrà la forma asiatica, russa, o americana: tutte le sue versioni passeranno per la capillarizzazione del controllo sociale, il “grande fratello” prossimo a venire, e in verità già venuto nella corsa al controllo dei Big Data. Un Grande Fratello chiamato al capezzale della “vita”, spogliata delle sue libertà uccise dal liberismo, non per salvare la società ma il suo sistema di produzione, per ridurre la pandemia a crisi di sviluppo del capitalismo chiamato a modificare in senso autoritario la sua governance per durare – esso, non noi – come tale. Ecco questo è il rischio vero.
Abbiamo una sola via d’uscita. Almeno da questo lato del mondo che si è inventato la “dignità” umana, e le sue “libertà”. Insistere in questo ideale. Fare della globalizzazione un’ecumene, un noi ambientato che respiri, se non nella grazia del Signore, quanto meno nella grazia che l’uomo deve a sé stesso.
Credo che nella Laudato si’ di Papa Francesco di questa ecumene umana – se non dello spirito – al cui servizio porre economia e politica ci siano al dettaglio l’ispirazione e le indicazioni, la profezia che ci serve. Ripartiamo da lì. Senza scrollare le spalle prima del tempo, prima che finisca il tempo.