L’impressione di alcuni opinionisti, soprattutto italiani, è che la partita francese non sia ancora finita. Che cosa ci sia da finire, esattamente, non si capisce bene.

In sintesi, il successo al primo turno delle elezioni francesi del Rassemblement National di Marine Le Pen e di Jordan Bardella, per i meccanismi abbastanza complicati del sistema elettorale transalpino, non assicura ancora il successo finale di Le Pen, che ha superato ieri sera il 34% distanziando l’Ensemble del presidente Emmanuel Macron di 12 punti e di circa 8 punti il Front populaire di François Ruffin.



Ma il fatto clamoroso, qualsiasi cosa si pensi e si dica, è che gli errori compiuti da questa politica francese guidata da Macron sono riusciti a fare spuntare una “talpa storica” tragica come una forza di destra che di democratico non ha nulla e che può avere riflessi negativi sia per la Francia che per l’Unione Europea.



Il meccanismo elettorale francese concede ancora una chance agli oppositori della Le Pen e per battere la destra il “catastrofico” Macron, ormai soprannominato “micron” da molti suoi detrattori, si è appellato a un “fronte comune” contro l’onda nera di Marine Le Pen. Ma, in tutto questo, probabilmente Macron dimentica completamente gli errori che ha fatto in questi anni, anche se da anni vede sfilare davanti all’Eliseo manifestazioni di aperto dissenso contro le sue scelte politiche.

In fondo, l’ultima riforma delle pensioni non soddisfa neppure i vari rami dei socialisti che sono divisi in tre gruppi, ma alcuni, pur condividendo la battaglia storica – a questo punto – contro la Le Pen, non risparmiano critiche e non le risparmieranno anche in futuro a Macron.



Questo vale per un leader dalla posizione più estremista come Jean-Luc Mélenchon, ma anche per un uomo di tradizione riformista, come Raphael Glucksmann, il quale ha fatto una dichiarazione che dà la misura della preoccupazione che oggi vivono i francesi ma anche gli europei: “Occorre fare presto e lavorare bene in questa settimana, per evitare una tragedia”.

È dai tempi dei “gilet jaunes” che Macron non riesce più a essere popolare in Francia. Inoltre a nessuno è sfuggita la sua supponenza, sia durante l’ultimo G7 e poi nella riunione europea che doveva stabilire le nuove candidature dell’Unione Europea.

Strano destino quello della Francia, nella politica estera e anche nel futuro dell’Europa. È vero che una parte della Francia, attraverso il generale De Gaulle, si è battuta contro il nazismo e ha partecipato con alcune sue truppe allo sbarco in Normandia. Nel corso dell’ultima grande guerra ha fatto dimenticare, in parte, gli errori della Repubblica di Vichy e il suo presidente Philippe Petain e poi, terminata la guerra, ha avuto dei grandi europeisti come Robert Schuman e Jacques Delors. Ma non si può dimenticare che sia stata la Francia a bloccare la difesa comune europea per diffidenza verso la Germania fin dagli anni Cinquanta del Novecento. E poi è stata la Francia, insieme all’Olanda, a opporsi al varo della Costituzione europea.

Intanto la Francia si era riservata e manteneva un posto fisso nel Consiglio di sicurezza dell’Onu, mentre forse un posto per l’Unione Europea sarebbe valso molto di più anche per il futuro geopolitico del mondo intero.

Ora appare quasi inutile ritornare sugli errori passati, a cui Macron non ha neppure pensato di porre rimedio. In questo modo la supponenza dell’asse franco-tedesco in Europa e la voglia di essere costantemente protagonisti nella gestione dell’Ue, forse ha creato degli avversari che si potranno presto vedere nell’assemblea del Parlamento di Strasburgo, in mezzo a gruppi che sorgono, si riuniscono e vanno ad assommarsi alla marea dei franchi tiratori.

Se questo vale nella politica internazionale di Macron, nei suoi rapporti con gli altri partiti europei, si può dire che la politica estera del Presidente francese corrisponda al suo modo di muoversi all’interno della Francia.

Facciamo un esempio sul cattivo risultato ottenuto alle elezioni europee, quelle che si sono svolte in Francia dal 6 al 9 giugno. Già lì, con una partecipazione elettorale più bassa, Macron aveva preso una percentuale che non raggiungeva la metà di quella di Marine Le Pen. La sua decisione immediata di sciogliere l’Assemblea nazionale e rifare le elezioni nel giro di quindici giorni, sembrava dettata da una sicurezza che sconfinava in sicumera e che ora denuncia tutti i suoi limiti dopo il primo turno elettorale.

Emmanuel Macron, l’uomo che doveva essere più o meno l’esponente della “grandeur francese” come un secondo de Gaulle, si trova ora costretto a fare alleanze con tutti, anche quelli che lo criticano, per battere Marine Le Pen; ma visti i meccanismi elettorali, guardando all’interno dei singoli collegi dove si farà il ballottaggio, emergono poche chances per Macron e per i suoi occasionali alleati.

In tutti casi, vinca o non vinca il Presidente, che non si vuole dimettere per i suoi ultimi tre anni, quale scenario può riservare alla Francia, in una situazione geopolitica che ogni giorno appare sempre più complessa?

Macron sinora non ha perso aritmeticamente, ma di sicuro è lui l’unico sconfitto politicamente in Francia e in Europa.

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