Con la seconda prova scritta della maturità gli studenti hanno potuto dedicarsi alle materie di indirizzo, cioè quelle caratterizzanti il proprio percorso di studio. Quelle materie, in fondo, che sono state la ragione della scelta di questa o quella scuola, con questo o quell’indirizzo durante l’orientamento scolastico. Dunque, l’ambito culturale considerato affine alle proprie passioni, sensibilità, capacità.
Quest’anno, per facilitare il ritorno agli scritti, dopo due anni di sola prova orale, il ministero ha deciso di affidare la seconda prova ai docenti della scuola, divisi per area disciplinare. Invece di imporre un’unica prova nazionale, cioè un test uguale per tutti, come è stato con la prova di italiano. Il che significa che il ministero ha lasciato ai docenti l’onore e l’onore della serietà della prova, sapendo, da un lato, il percorso fatto dagli studenti, ma anche che la prova finale non può essere una semplice replica dei compiti assegnati durante l’anno.
Il che porterà a qualche polemica, perché, come sempre, alcuni docenti saranno accusati di favorire i propri studenti, nel mentre altri prenderanno alla lettera la responsabilità di una prova degna di un esame di maturità.
Questa differenza riporta alla memoria le inevitabili polemiche che si scateneranno alla fine di questi esami, con punteggi troppo elevati, in alcuni casi, e meno generosi in altri. Tanto che si troveranno realtà con prove Invalsi non positive ma con voti alti, ed altre con buone prove Invalsi, ma con punteggi più bassi.
Ma al di là di questi aspetti resta l’importanza di queste prove di indirizzo. Perché sono quelle che si portano il carico di orientare gli studenti alla scelta del dopo: lavoro da subito, corso biennale in un Its oppure scelta universitaria?
Ho chiesto a studenti di un istituto tecnico come stanno pensando per il dopo. E la metà circa ha in mente una facoltà universitaria, pochi l’opzione di un Its e il resto direttamente il mondo del lavoro. Per gli studenti liceali, mi verrebbe da dire, lo sbocco universitario è scontato, mentre per i maturandi dei professionali l’istanza del lavoro assorbe la quasi totalità, e sono pochi quelli che pensano di continuare nel mondo della formazione specialistica.
Dovremmo tutti, di fronte a queste tendenze, fermarci un attimo e riannodare i fili di una complessità sistemica che non è sempre trasparente negli attori, cioè nel mondo dell’impresa e delle professioni, da un lato, dei nostri studenti, dall’altro, ed in mezzo le istituzioni chiamate a offrire i diversi percorsi formativi post-diploma.
In Italia, tanto per capirci, abbiamo pochi laureati, come abbiamo ancora un numero consistente di studenti che abbandonano al primo anno o sono fuori corso. In seconda battuta, pochi ancora conoscono le opportunità degli Its, soprattutto se le consideriamo tenendo a mente l’apprendistato di terzo livello. Per ultimo, ma non ultimo, il mondo del lavoro non dovrebbe fare la corsa per accaparrarsi, prima del tempo, i diplomati degli istituti tecnici e professionali.
Perché, se la formazione è il cuore pulsante dell’innovazione, va ripensato il necessario equilibrio di queste criticità, per essere in grado di supportare le imprese e le diverse professionalità, sapendo i compiti che li e ci attendono, come mondo del lavoro e come mondo della formazione.
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