La stampa, specie quella on line, della rete, più veloce, più larga di quella tradizionale ma meno capace di critica, insegue la notizia della Nuova Zelanda che ha deciso non solo il ritiro dal commercio delle armi semi-automatiche, ma anche la riconsegna da parte dei cittadini per chi ne possiede già. A metà del mese di marzo, si ricorderà, un australiano, Brenton Tarrant, “suprematista” pare si dica, dopo essersi preoccupato per quanti islamici aveva visto girare per l’Europa (dove ha preso ispirazione per il suo gesto) ha ucciso una cinquantina di persone. Persone di fede islamica, radunate in un paio di moschee a Christchurch.



La Nuova Zelanda, ancora sotto shock, ha deciso di mettere al bando un genere di arma, le semiautomatiche, le più pericolose nell’ottica di eventi stragisti. E quindi non solo non potranno più essere vendute, ma devono essere riconsegnate dai possessori alle autorità entro il prossimo dicembre, a fronte di un indennizzo per cui c’è uno stanziamento del Governo.



Il paese ha meno di 5 milioni di abitanti e ben 1,2 milioni possiede un’arma. Di questi sono circa 14mila quelli che hanno quel tipo di arma tecnicamente più “pericolosa”. Per la verità, girando a lungo quel territorio, non sembra di essere in un paese così tanto armato. Armerie infrequenti, poligoni anonimi e non pubblicizzati. Non si sentono episodi di liti condominiali a pistolettate o gente che si barrica nella locale sede dell’Inland Revenue (in maori Te Tari Taake), cioè il ministero delle Finanze che è anche Agenzia delle Entrate e spara per avere un rimborso.

Ma la cosa più incredibile, per noi, è la logica dei nessi. Un pazzo spara con la semiautomatica e fa una strage. Il paese si accorge che senza una precisa ragione sono troppi ad avere uno strumento come quello e decide perciò di eliminare una piccola parte del potenziale problema. Siccome non si può sapere quanti altri pazzi ci sono in giro, almeno togliamo il tipo più pericoloso di strumento in mano al pazzo. Sotto un profilo statistico non fa una piega. Nemmeno sotto quello logico.



Quello che sorprende è che c’è stato un solo voto contrario in Parlamento. Hanno aderito persino gli industriali più vicini al settore (o perché gestori del sito internet più usato, o perché distributori di quel genere di armi). E persino Winston Peters, vicepremier, ministro degli Esteri ma soprattutto fondatore e capo del New Zealand First. Il partitino che, col 7%, sta decidendo da anni le sorti del paese, come ago della bilancia in un bipolarismo per niente perfetto. Un partitino e un uomo politico definiti populisti perché portatori di un piglio spesso per niente convenzionale a difesa della neozelandesità, per quanto (visti da vicino, avrebbe detto Andreotti)  poi alla fine in nulla assimilabili ai populismi in salsa europea, di cui si occupa la stampa da questa parte del mondo con fin troppa attenzione.   

Ma quello che conta osservare è questa strana catena. Evento eccezionale, riflessione, azione concorde nel prendere una misura se non risolutiva, quanto meno potenzialmente sedativa di una parte dei rischi. E coerente con questi.

Da noi che sarebbe successo? Come minimo diventava obbligatorio per tutti i fedeli, di ogni religione, in qualunque luogo di culto, entrare armati. Previo un corso obbligatorio presso la Circoscrizione e con il prezzo della pistola detraibile come quelli sulle ristrutturazioni. Con tanto di putiferio nei talk show per decidere a carico di chi devono essere i fondi per i corsi.