Dopo l’esito delle elezioni americane e la vittoria di Trump, gli investitori hanno potuto piazzare le proprie scommesse senza più alcuna incertezza. Si possono così sottolineare tre temi che sono stati chiaramente visibili sui mercati ieri. Il primo è il rialzo dei tassi americani, il secondo è la divaricazione tra andamento dei mercati europei rispetto a quello americano e il terzo è il crollo dei titoli legati al “green”.
I tassi americani salgono perché gli investitori scommettono che il mix di politiche fiscali espansive e dazi possano far ripartire l’inflazione e che quindi la banca centrale americana debba tenere i tassi più alti di quanto si pensasse. Il rialzo dei tassi non si è tradotto in cali azionari e gli indici americani legati alle imprese industriali ieri hanno registrato rialzi significativi.
I mercati scommettono che possa continuare una rinascita industriale che è stato il tema di fondo della politica americana anche sotto l’Amministrazione Biden; le aperture di nuovi stabilimenti negli ultimi anni sono state una realtà difficile da ignorare negli Stati Uniti. Sappiamo che anche la precedente Amministrazione ha avuto una politica energetica molto diversa da quella europea perché negli ultimi quattro anni l’America, mese dopo mese, ha aggiornato i massimi dei barili di petrolio e di metri cubi di gas prodotti. Trump ha dichiarato però a più riprese di non avere alcun riguardo per la “transizione”; anzi, al centro della politica industriale americana ritorna prepotentemente l’estrazione di idrocarburi come mezzo per abbassare la bolletta energetica e rilanciare la competitività delle imprese. Non ci sono altre possibilità per recuperare competitività nel breve per Washington e l’alternativa, eventualmente, metterebbe gli Stati Uniti nella condizione di doversi approvvigionare di componentistica cinese.
La divaricazione con l’Europa è la conseguenza di questi due elementi. L’Europa è in crisi industriale e avrebbe bisogno di tassi più bassi, mentre gli Stati Uniti, entro certi limiti, si possono permettere tassi più alti. L’Europa deve ricreare le condizioni per la competitività delle proprie imprese dentro i binari della transizione green la cui unica certezza, sicuramente nel breve e medio periodo, è il costo. La transizione green europea è il prodotto di incentivi pubblici colossali su cui a questo punto si può cominciare a dubitare; questo spiega il crollo di ieri sul comparto “green”. Per gli Stati Uniti da una posizione geopolitica ed energetica infinitamente migliore di quella europea il costo della transizione è eccessivo. L’Europa non può nemmeno mettersi al riparo dai dazi che Trump minaccia promettendo di comprare petrolio e gas americani data la strada che ha imboccato; invece continua a comprare componentistica “green” cinese mettendosi su una rotta confliggente con l’Amministrazione repubblicana.
Gli investitori, quindi, vendono Europa e comprano America. L’Europa non può controbilanciare la minore competitività delle proprie imprese agendo sul cambio; lo potrebbe fare, ma trova una controparte che vuole mettere dazi. Quanto successo nel 2014, con l’euro svalutato contro il dollaro di oltre il 20%, non è più proponibile come strumento per uscire dalla crisi. L’Europa lo potrebbe anche fare, ma a quel punto, semplicemente, si troverebbe con dazi più alti.
Il piano “Draghi” ha tra i pilastri – il ricorso al debito per gli investimenti pubblici e la transizione green – come strumento per recuperare competitività. Nel primo caso sappiamo da ieri che attrarre i capitali europei sarà più costoso e meno facile perché quei risparmi preferiscono andare dall’altra parte dell’Atlantico per prendere tassi più alti. Nel secondo caso sappiamo che l’Europa è rimasta sola a voler pagare i costi della transizione. Quel piano è stato ampiamente sorpassato dagli eventi; ad appena qualche mese dalla sua presentazione viene messo fuori gioco dalla presidenza Trump.
L’ultimo punto è il rialzo dei Bitcoin e dei titoli bancari americani. È un movimento con cui gli investitori hanno scommesso sulla deregolamentazione del settore. Anche in questo caso America ed Europa non potrebbero essere su due sentieri più distanti. I Bitcoin da questa parte dell’Atlantico incontrano sospetti e opposizioni più o meno velate. Se l’Europa non risolve presto i suoi problemi di competitività si troverà alle prese con un esodo di capitali difficile da controllare. L’unico modo che ha l’Europa per finanziare gli investimenti senza pagare troppo di interessi è quello di tenere bloccati i risparmiatori in prodotti con rendimenti non di mercato. È un obiettivo difficile da raggiungere nei mercati di capitali attuali in cui si possono spostare masse senza particolari costi.
I mercati ieri hanno votato per tassi più alti, meno green e più idrocarburi, contro l’Europa e per la “corporate” America. È un voto che chiede all’Europa una revisione profonda della propria strategia.
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