Dopo la vittoria di Donald Trump alle presidenziali americane ci si interroga su quali conseguenze economiche potranno esserci per gli altri Paesi, in particolare in Europa. Secondo Mario Deaglio, Professore emerito di Economia internazionale all’Università di Torino, «quello che accadrà non sarà poi così diverso da quello che sarebbe successo se a vincere le elezioni fosse stata Kamala Harris: pur con stili diversi, entrambi i candidati sarebbero stati d’accordo nel fare in modo che gli Stati Uniti, da un lato, si isolino e, dall’altro, cerchino di affermare un loro primato inattaccabile nel mondo».
Con Trump alla Casa Bianca l’economia europea sarà più penalizzata?
Direi di sì, perché per l’Europa l’accesso al mercato americano diventerà più difficile, la domanda statunitense di prodotti europei diminuirà e forse su questa sponda dell’Atlantico ci renderemo anche conto che di tecnologicamente avanzato abbiamo pochissimo ormai. Anche sulle automobili abbiamo dovuto subire il sorpasso cinese sull’elettrico. E, come stiamo vedendo, la grande crisi dell’automotive tedesco è un problema anche per i fornitori italiani.
La Germania sta attraversando anche un momento politico complicato, visto che il Cancelliere Scholz ha appena licenziato il ministro delle Finanze…
Sì e anche la situazione politica francese non è delle migliori: il Presidente fa politica estera da solo e nel frattempo l’influenza, anche economica, di Parigi in Africa è diminuita. In Europa, quindi, siamo messi piuttosto male. Penso che una via per provare a venir fuori da questa difficoltà debba passare dalla centralizzazione a Bruxelles di una serie di spese, a cominciare da quelle per la difesa, per proseguire con quelle sanitarie e infrastrutturali, finanziate extra-bilancio Ue, vale a dire con l’emissione di moneta da parte della Bce.
Il fatto che in Germania non ci sia più Lindner come ministro delle Finanze rende più facile l’emissione di debito comune richiesta dal Rapporto Draghi?
Può darsi, ma resta una strada lunga. Non possiamo trascurare il fatto che in Europa si dovranno fare a breve termine delle scelte che, semplificando, potremmo definire di campo tra Stati Uniti e Cina: o accettiamo di pagare di più per la nostra difesa come chiede Washington, e questo richiederà una capacità maggiore di finanziamento da parte di Bruxelles, oppure dovremo accordarci con Pechino per avere quelle materie prime sempre più importanti anche per l’industria elettronica. Questo, però, comporterà l’essere più simpatetici verso il tentativo dei Brics di creare una valuta alternativa al dollaro per le transazioni internazionali.
Come si porrà Trump rispetto a questo tentativo dei Brics?
Fingerà indifferenza, ma cercherà di rallentarlo o bloccarlo. E, soprattutto, non dimenticherà i nomi degli Stati che decideranno di sostenerlo.
Visto lo storico legame con gli Stati Uniti, l’Europa potrà mai fare una scelta di campo che non sia verso Washington?
Esiste questo legame dovuto soprattutto alla Nato e se l’Europa vorrà mantenerlo dovrà investire sulla difesa, cosa che le converrebbe a prescindere vista la situazione del suo arsenale militare. Diversamente potrà contare sull’appoggio americano solamente se questo sarà funzionale agli interessi di Washington. Tra l’altro credo che Trump voglia, come ha detto durante la campagna elettorale, far cessare la guerra in Ucraina.
Per fare una scelta di campo in Europa si dovrà probabilmente aspettare che si risolva la situazione di Germania e Francia e potrebbe volerci diverso tempo…
E la storia non aspetta, può darsi che si debba decidere prima. E la via più semplice per cercare di risolvere la crisi della manifattura tedesca sembra essere quella di cercare un accordo con la Cina.
Se perdurasse la crisi in Germania e in Francia, potrebbe essere la Commissione europea a prendere in mano la situazione e a decidere o non è un’istituzione ancora così forte?
È difficile poter dire oggi se Bruxelles possa arrivare a prendere decisioni così importanti. A me pare che Ursula von der Leyen sia riuscita, sfruttando anche la situazione politica generale, a costruire la nuova Commissione in modo da essere lei stessa punto di riferimento su molti più dossier rispetto a quella uscente. Questo può, da un lato, creare qualche mal di pancia in uno o più Paesi membri, oppure, dall’altro, fornire le basi per delle decisioni accentrate su alcuni temi, come per esempio l’immigrazione o i rapporti con l’Africa.
(Lorenzo Torrisi)
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