Quattro giorni di cessate il fuoco, 50 ostaggi che torneranno nelle loro case in cambio di 150 prigionieri. L’accordo per la liberazione di donne e minori rapiti da Hamas nell’azione del 7 ottobre è cosa fatta, anche se il sì del governo Netanyahu è arrivato senza l’appoggio dell’estrema destra.

Un’intesa, spiega Vincenzo Giallongo, colonnello dei carabinieri in congedo che ha partecipato a diverse missioni in Albania, Iraq, Kuwait e Kosovo, che dal punto di vista strategico e militare favorisce Hamas, messa alle strette dal massiccio intervento dell’IDF e quindi bisognosa di tempo per riorganizzarsi, ma che permette di salvare 50 vite umane (anche se il numero secondo alcuni potrebbe aumentare) oltre che, per  Netanyahu, di alleggerire le pressioni che stava subendo in modo sempre più stringente dall’opinione pubblica per ridare la libertà agli ostaggi.



In questi quattro giorni potrebbero cambiare molte cose. Israele ha annunciato che la guerra continuerà, ma se l’Occidente riuscisse a portare dalla sua parte il Qatar, fautore insieme all’Egitto della liberazione ma anche principale finanziatore di Hamas, la tregua potrebbe continuare. Un ruolo importante lo avrebbero giocato anche gli Usa: secondo il New York Times avrebbero istituito una sorta di cellula segreta proprio per sostenere le trattative.



Resta da definire chi, tra i palestinesi, verrà scarcerato, anche se dovrebbe trattarsi di donne e adolescenti. Ma anche quale sarà, nel frattempo, la sistemazione degli sfollati. E si parla già di un possibile secondo rilascio di ostaggi, altri 50, a fine novembre. Qualcuno ipotizza anche, in un altro momento, la liberazione di Marwan Barghouti, indicato come possibile leader ANP al posti di Abu Mazen. Ma ora bisogna procedere con la prima tranche: si attende l’esecuzione dell’accordo.

Colonnello, cosa ha portato Israele ad accordarsi con Hamas?

Gli occidentali in questo tipo di patteggiamenti sono quelli che ci rimettono. Ci sono 150 palestinesi che lascerebbero il carcere, a quanto pare non terroristi e loro fiancheggiatori ma donne e adolescenti. In cambio avremo 50 donne e bambini ebrei liberati, ma anche quattro giorni di tregua che serviranno ad Hamas per riassestarsi, visto che per loro il colpo subìto da parte di Israele è stato notevole: la distruzione dei tunnel sotto gli ospedali è stata una grossa batosta. Il problema è che il mondo occidentale combatte contro un avversario che lo fa in maniera diversa. Non combattiamo la stessa guerra, per l’Occidente è molto più difficile da sostenere.



A parti invertite non sarebbe successa la stessa cosa?

Hamas non si sarebbe curata di eventuali ostaggi. Anzi, avrebbe sfruttato i morti per definirli martiri cercando di guadagnarsi la simpatia delle opinioni pubbliche. L’Occidente ha un modo diverso di portare avanti i conflitti. La guerra è orrenda e bisogna evitarla sempre, ma nel momento in cui viene fatta non bisognerebbe avere remore. Invece gli occidentali quando scendono a patti con questi nemici sono sempre perdenti.

Se l’accordo favorisce sostanzialmente Hamas, perché Netanyahu lo ha sottoscritto?

Lo ha fatto perché pressato dall’opinione pubblica, anche se l’estrema destra si è opposta. Che stia facendo bene o male Netanyahu non mi permetto di dirlo: si parla della vita di 50 persone.

Questa tregua allungherà la guerra? Hamas potrà resistere meglio e per l’IDF sarà più difficile arrivare alla sua distruzione? Oppure potrebbe avere esiti diversi? L’accordo, d’altra parte, prevederebbe anche la possibilità di allungare il cessate il fuoco.

Secondo me questo tipo di situazione non potrà far altro che allungare la guerra: quattro giorni senza combattimenti sono tanti, Hamas li sfrutterà in modo tale da poter fronteggiare meglio gli israeliani. Ma c’è un altro elemento importante da tenere in considerazione. Il Qatar, che ha fatto da mediatore per liberare gli ostaggi, si trova a un bivio: vuole essere il punto di riferimento dei terroristi oppure, con i limiti dettati dalla sua cultura, occidentalizzarsi? Con i mondiali di calcio, le finali di coppe, il turismo, il Gran Premio di Formula Uno ha cominciato a valutare i vantaggi dell’Occidente e se questa linea dovesse prevalere il cessate il fuoco potrebbe durare. Se continuerà anche a sostenere Hamas, dopo la tregua si tornerà a combattere come prima. Ci sono anche altri Paesi che hanno contato in questo accordo, l’Egitto, ad esempio, ma il peso del Qatar è maggiore: dà i soldi ai terroristi, tiene i capi di Hamas negli alberghi di lusso di Doha. È l’ago della bilancia. Chi può spendere una parola con loro sono gli Usa, l’interlocutore che i qatarioti ascoltano di più.

Netanyahu, comunque, ha detto che la guerra non è finita. Anzi che dopo il cessate il fuoco Israele continuerà a perseguire l’obiettivo della eliminazione di Hamas. Si andrà avanti così?

Quattro giorni sono lunghi: si potrebbe arrivare a un ulteriore cessate il fuoco magari per la liberazione di altri ostaggi. Al tavolo di pace si possono trovare tante soluzioni, non è impossibile. Certo, per Israele dire che tutto finisce lì è un po’ difficile.

Potrebbero smettere di combattere se si raggiungesse un’intesa come quella trovata in Libano anni fa che prevedesse il trasferimento dei miliziani di Hamas in un altro Paese e quindi l’abbandono di Gaza?

Questa potrebbe essere un’ottima soluzione. Israele, tuttavia, partirà da una condizione base, quella di controllare direttamente la Striscia di Gaza: non vuole palestinesi di mezzo, in questo esautorando, di fatto, anche Abu Mazen. Le soluzioni potrebbero essere molte: un protettorato ONU con sue truppe sul posto, ad esempio. Bisognerà vedere quali saranno le condizioni che l’opinione pubblica israeliana accetterà per arrivare a un cessate il fuoco definitivo e le offerte fatte ad Hamas, oltre a quale sarà la forza degli Usa nei confronti del Qatar per indurlo a spostarsi verso l’Occidente. Sarà un periodo di contatti frenetici, forse fra un paio di giorni qualcosa verrà fuori.

Resta il problema della collocazione degli sfollati: si troverà un punto di equilibrio anche su questo?

Bisognerà che Egitto e Giordania si facciano carico di queste persone. Il Cairo lo sta facendo, ma con numeri irrisori (ha accolto i bambini prematuri che erano nell’ospedale di Al Shifa, nda), Amman non si è fatta viva. Anche l’Italia sta preparando un ospedale da campo e si parla di realizzare centri di accoglienza. Questi quattro giorni saranno utili per sistemare gli sfollati in zone meno pericolose. Ma non è che questa gente può vivere così, in condizioni di fortuna: credo che la tregua verrà utilizzata per trovare una soluzione.

Egitto e Giordania però hanno sempre detto che non vogliono i profughi: i giordani si sono spinti a dire che indirizzarli verso il loro territorio equivale a una dichiarazione di guerra. Cambieranno idea?

La moglie del re di Giordania è palestinese: non accoglierebbe i suoi connazionali? Non sono Paesi ricchi come l’Arabia e il Qatar, se la giocano sperando di avere in cambio dei fondi o dei privilegi: è il gioco delle parti. Credo che sia una questione prettamente economica.

Dal punto di vista politico in Israele la spaccatura nel governo sull’accordo per gli ostaggi cambierà la situazione?

Credo che non cambierà niente, la destra non ha la forza per modificare i rapporti di forza nel governo. Stanno in una coalizione democratica e accettano questa decisione.

L’accordo, comunque, sotto l’aspetto strategico e militare, è a vantaggio di Hamas?

Sì, Israele però porta a casa 50 donne e bambini. Meno male.

(Paolo Rossetti)

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