Nel dibattito sulla sconfitta dell’Occidente in Afghanistan è spesso ricorsa l’affermazione “la democrazia non può essere esportata con la guerra”, affermazione vera, ma parziale.
Infatti, la democrazia non può essere esportata, deve essere costruita, e questo non può accadere né in breve tempo, né una volta per tutte. La democrazia come la intendiamo in Occidente ha richiesto secoli per arrivare alle multiformi applicazioni odierne, secoli contrassegnati da confronti e scontri, spesso disastrosi. Né è stata conquistata per sempre, come dimostra l’ascesi di ideologie come il fascismo, il nazismo o il bolscevismo. E tuttora, all’interno della stessa Unione Europea, vi sono accuse a Stati membri di violare i princìpi democratici.
Un percorso accidentato e una costruzione sempre in itinere, ma resi possibili da un elemento comune all’Europa e ai suoi “derivati” al di là degli oceani: il cristianesimo, pur anch’esso diviso al suo interno. Il cristianesimo, per lo meno nel quadro del “non possiamo non dirci cristiani” di Benedetto Croce, è stato alla base e ha accompagnato la costruzione del concetto di democrazia in Europa. La Rivoluzione francese, con l’estremizzazione dell’illuminista “etsi Deus non daretur”, come se Dio non esistesse, la proclamazione della “Dea Ragione” e la dittatura ideologica passata alla storia come il Terrore, ha portato una rottura in questo cammino, che è comunque continuato.
Nel secolo scorso, la Prima guerra mondiale ha visto il prevalere degli Stati nazione sugli imperi multietnici. Le conseguenze della caduta dell’impero ottomano sono ancora evidenti in Medio Oriente e Nord Africa, la sconfitta di quello germanico portò alla nascita del nazismo, mentre all’impero zarista seguì l’Unione Sovietica. Le dittature imposte da nazisti e bolscevichi non erano di per sé obiettivi, bensì mezzi necessari per costruire quella società perfetta che avrebbe portato pace e felicità al mondo. Conseguenza, in un caso, della definitiva affermazione di un’unica razza pura; nell’altro, della definitiva vittoria del proletariato.
Analogamente al Terrore di Robespierre, per formare questo “uomo nuovo” era necessario “rieducare” quello vecchio, anche con la violenza, eliminandolo se irriducibile. In tutti e tre i casi, l’ideologia tendeva a trasformarsi in una vera e propria religione laica, in cui la salvezza era opera solo dell’uomo, grazie alla guida di élite illuminate.
La Seconda guerra mondiale pose fine al tentativo nazista, ma trasformò l’Unione Sovietica in una potenza in grado di influenzare, in antitesi agli Stati Uniti, la scena mondiale nei successivi cinquant’anni. Tuttavia, la carica ideologica del comunismo si trasformò sempre più nello strumento di un sistema di potere basato su un leader e sugli apparati che lo sostenevano: il termine aparatchiki identifica ancora i gruppi che detengono il potere in diversi Stati sorti dalla disgregazione dell’Urss. È questo il caso della stessa Russia, della Bielorussia o delle repubbliche centroasiatiche.
La fine della contrapposizione con l’Unione Sovietica ha peraltro posto in evidenza le manchevolezze che segnano tuttora la costruzione delle democrazie occidentali, a partire dagli Stati Uniti.
Questa analisi, nella sua sommarietà, credo serva comunque a esporre la complessità della costruzione della democrazia in Occidente, e la sua persistente fragilità, e a sottolineare la difficoltà, se non l’impossibilità, della sua esportazione in culture diverse. Ciò risulta particolarmente evidente per le società fondate sull’islam e l’Afghanistan è solo uno dei casi a dimostrazione di questo assunto.
Buona parte di queste società, come in Medio Oriente, sono basate su una struttura tribale, dove l’identità e la fedeltà tribale prevale su quella nazionale e lo Stato, nel senso occidentale, rimane un residuo della colonizzazione europea. A questo si aggiunge, ancor più importante, l’inesistente distinzione tra religione e politica tipica dell’islam, che porta alla sempre più frequente richiesta che la sharia diventi unica fonte della legislazione statale.
Di fronte alle richieste occidentali, i talebani hanno risposto che rispetteranno i diritti delle donne e delle minoranze religiose, secondo quanto previsto dalla sharia. Questa dichiarazione ha destato molta perplessità in Occidente, ma suona del tutto ovvia per dei musulmani osservanti. Le differenze risiedono nella rigidità e violenza con le quali viene applicata la sharia e le preoccupazioni sono doverosamente elevate nel caso dei talebani. Sotto la sharia, rimane comunque difficile per le donne essere trattate pienamente alla pari degli uomini, così come resta impossibile per le minoranze religiose avere gli stessi diritti riservati ai veri fedeli, cioè i musulmani. Per constatare questo, non vi è bisogno dell’esempio talebano, basta guardare all’Arabia Saudita, solido e duraturo alleato degli Stati Uniti.
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