Le vie di Kabul come quelle di Gaza. La reazione della Cia e dell’esercito americano alla strage di marines e civili all’aeroporto di Kabul è sembrata a molti una fotografia già scattata, molte volte, nelle strade di Gaza. A colpire questa volta è stato un drone americano, che dal cielo sopra Kabul ha lanciato il suo missile contro un’auto. Le fonti ufficiali americano descrivono un attacco contro un gruppo di talebani che si apprestavano a colpire nuovamente l’esterno dell’aeroporto. Non parlano di vittime civili, come invece si sono affrettati a fare i talebani.
Nelle strade di Gaza, da anni, i cosiddetti omicidi mirati di esponenti e miliziani di Hamas o della Jihad Islamica, compiuti dall’esercito israeliano, si avvalgono non solo dei razzi lanciati da elicotteri o aerei, ma anche di nuovi sempre più sofisticati droni, senza pilota, che hanno il vantaggio di non provocare crisi politiche in caso di abbattimento, perché non hanno a bordo piloti a rischio di prigionia e da tentare di recuperare militarmente o per vie diplomatiche.
L’industria militare israeliana si vanta di essere tra le prime al mondo ad aver costruito i droni e l’aviazione israeliana ha celebrato appena un mese fa una mega-esercitazione. Nella base aerea di Palmachim, a sud di Tel Aviv, sono stati ospitati, per una esercitazione durata quindici giorni, personale e velivoli di Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania e Italia. Il generale israeliano Amikam Norkin lo ha detto senza mezzi termini: “Blue Guardian apre la strada ad una futura cooperazione”.
A Kabul, in verità, è probabile che gli americani abbiano agito senza l’imbarazzante cooperazione israeliana. Così come hanno già fatto con i propri droni, alla ricerca di terroristi islamisti, in terra somala, yemenita o pachistana.
Poter colpire senza il rischio di coinvolgere propri piloti: questo il valore aggiunto, tutto politico, dei droni che gli americani oggi usano, lasciandosi alle spalle il ricordo dei piloti abbattuti sui cieli del Vietnam ed imprigionati nella Prigione centrale di Hanoi.
Riguardo alla precisione, il discorso è diverso. La precisione non è mai garantita, perché “il fattore uomo” non è mai cancellato. Tra gli errori conosciuti, quello compiuto dai piloti a distanza di un drone israeliano proprio sui cieli di Gaza: quattro ragazzi che giocavano a palla sulla spiaggia uccisi sette anni fa, il 16 agosto 2014.
Ora non mancano i fautori, politici e militari, negli Stati Uniti e in Europa, di un “dopo Kabul” fatto di un uso su vasta scala di tecnologia militare e di “cooperazione” tra servizi segreti. L’obiettivo unificante dovrebbe essere la lotta ai terroristi islamisti. Riguardo ai risultati, si è disposti a chiudere gli occhi anche di fronte a terribili errori o devastanti effetti collaterali, che rimangono invece impressi nella memoria delle popolazioni coinvolte.
A fronte di tanto rinnovato impegno in investimenti militari, appare assai modesto l’impegno, pur compiuto in queste ore, per disinnescare tensioni, conflitti e quell’umiliazione che Barack Obama definì al Cairo la condizione di tanti palestinesi.
Alla Casa Bianca, il neo presidente Joe Biden ha incontrato tre giorni fa il neopremier israeliano Naftali Bennett. Si è tornati a parlare di geopolitica e di Iran, come chiesto dagli israeliani: uno stato da ingabbiare e a cui spuntare gli artigli dello sviluppo nucleare. Si vedranno presto le modalità, anche se Biden non è Trump.
Tuttavia, l’incontro a Washington ha partorito anche un topolino politico in Medio Oriente. Una chiacchierata nella notte, ad alcune migliaia di chilometri di distanza, a Ramallah, tra il ministro della difesa israeliano Benny Gantz ed il presidente, in eterna proroga, dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen. “Un confronto sui temi della sicurezza; non c’è nessun confronto diplomatico riaperto” ha detto il premier Bennett, pronto a spegnere le ultime speranze dei palestinesi, soprattutto dei più giovani.
Gantz, tuttavia, ha portato qualche prezioso dono, per allontanare lo spettro di un presidente palestinese richiamato al suo incarico di “tutore dell’ordine”. Dalla borsa di Gantz sono usciti alcune centinaia di certificati di residenza, preziosissimi fogli per la vita quotidiani dei palestinesi senza documenti; qualche decina, forse qualche centinaia di licenze edilizie per palestinesi che vivono sotto controllo militare nella cosiddetta Zona C, come fu scritto ad Oslo. Poi un prestito, ma solo un prestito, anzi un anticipo ad Abu Mazen sulle tasse che gli israeliani prelevano per Anp. Quasi un’elemosina, ma pari a 140 milioni di euro utili per pagare, subito, modesti stipendi e misere pensioni ai palestinesi.
Si sarebbe dovuto fare dieci volte di più per affrontare una situazione economica e sanitaria disastrosa. In Palestina solo il 10 per cento di persone hanno ricevuto due dosi di vaccino anti-Covid. In Israele il 60 per cento.
Per l’Occidente (comprese le multinazionali farmaceutiche americane ed europee) la distanza, politica ed umana, tra Gerusalemme e Gaza, è ormai ben oltre quella tra la Terra e la Luna.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI