Monitorare gli argini con continuità, realizzare un piano sistematico per individuare le casse di espansione dei fiumi che facciano sfogare l’acqua durante le piene, ma soprattutto definire un piano d’emergenza per eventi eccezionali come quello dei giorni scorsi in Romagna. In fondo le copiose precipitazioni che hanno allagato tutta la zona di Ravenna, Forlì, Cesena, parte dell’Emilia e delle Marche sono state un po’ come la pandemia. Un evento imprevedibile nei confronti del quale, però, non possiamo più farci trovare impreparati.



Marco Marani, professore ordinario di idrologia all’Università di Padova, direttore del Centro studi sugli impatti dei cambiamenti climatici a Rovigo, indica la strada per ridurre i rischi (e i danni) legati alle alluvioni. Facendo, tuttavia, anche un’altra proposta: a partire dalla scuola preparare la gente ad affrontare situazioni di emergenza, prevedendo una formazione ed esercitazioni che spieghino alle persone cosa fare in caso di necessità.



Professore, quali sono le prime cose da fare per non farsi trovare impreparati davanti a un’alluvione come quella della scorsa settimana?

Ci siamo trovati di fronte a un evento molto intenso ma anche molto particolare, perché c’è stata una sequenza di due eventi a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro, che ha fatto sì che il secondo potesse avere degli effetti importanti trovando un terreno già saturo di acqua. Questa combinazione rende eccezionale il fenomeno anche da questo punto di vista. I numeri che si sono determinati sono molto alti: 500 millimetri di pioggia in due giorni o poco più, circa la metà delle precipitazioni in un anno.



I numeri confermano che è stato un evento eccezionale. Dobbiamo rassegnarci al fatto che ne succederanno ancora?

Quello che possiamo fare è limitare i danni, essere più preparati sulla gestione della canalizzazione e delle reti di drenaggio e sui piani da mettere in atto. Devo dire che molte cose sono state fatte: ad esempio si sono create brecce artificiali in alcuni canali per permettere l’esondazione in modo controllato ed evitare danni maggiori. Certo, le arginature in particolari punti avevano qualche problema che non era stato individuato: la manutenzione è fondamentale, il territorio va continuamente monitorato per verificare gli argini e che non ci siano problemi negli attraversamenti. Abbiamo visto ponti crollati, sponde che sono state erose, molte brecce: in alcuni di questi casi è possibile che ci fossero problemi che non erano stati identificati.

Ci sono le risorse per questi controlli?

Le strutture le abbiamo, così come le agenzie che se ne occupano. Abbiamo un grande tradizione. Si tratta di fornire le risorse che servono. Sono investimenti importanti. Il monitoraggio e la manutenzione costano molto meno rispetto agli interventi di ripristino per rimediare ai danni.

Spesso chi si trova in situazioni di pericolo come queste non sa cosa fare. C’è anche un problema di preparazione della gente?

Possiamo fare meglio anche per quanto riguarda la cultura del rischio, le persone non sono preparate ad affrontare questo tipo di fenomeni, perché avvengono raramente. Però succedono. Dobbiamo essere pronti, sapere quello che dobbiamo fare.

È un po’ come è successo con la pandemia: non eravamo preparati a un evento simile?

Assolutamente sì. A questi fenomeni estremi rari dobbiamo prepararci facendo informazione, l’esperienza diretta non c’è. Bisogna che la gente sia pronta, che sappia dove deve andare e soprattutto dove non deve andare: non bisogna andare a vedere cosa succede sugli argini, sui ponti, se una zona è dichiarata a rischio e viene detto di evacuarla bisogna farlo con ordine. Questo non si improvvisa, richiede preparazione.

Bisogna preoccuparsi di formare i cittadini? Magari anche con qualche esercitazione?

Certo, cominciando dalla scuola, perché lì si può fare un’informazione capillare. Ho un’esperienza vissuta negli Usa per quanto riguarda i tornado: nelle scuole si fanno esercitazioni periodiche con indicazioni precise su cosa fare. Noi abbiamo una protezione civile molto sviluppata. E si sa quali sono le cose da fare per ridurre il rischio.

Per ridurre il rischio delle esondazioni cos’altro occorre fare?

Le casse di espansione per i corsi d’acqua ad esempio.

Ma non dovrebbero essere già previste lungo i fiumi?

Non è detto.

Realizzare una cassa di espansione significa creare delle strutture?

Non pensiamo a dighe alte chissà quanto. Sono dei rilevati in terra, simili agli argini, che possono essere alti una decina di metri, anche se poi dipende dal caso specifico. L’area interessata da queste opere può essere comunque usata: ce ne sono alcune che sono coltivate o nelle quali ci sono dei parchi. Chiaro che non ci si può costruire o farci attività commerciali. Ma agricoltura e attività ricreative sì.

Questi “argini” permettono di deviare l’acqua in una zona di sfogo?

C’è un ingresso che entra in funzione soltanto nel caso in cui si verifichi una piena importante. Raggiunto un certo livello l’acqua comincia a defluire nella “cassa”, proteggendo le aree a valle. Si innesca automaticamente. Entra in funzione a un livello predefinito, a livelli di piena che si possono verificare ogni 50 anni. Per questo si tratta di aree che nel frattempo possono essere utilizzate. Bisogna solo valutare dove si possono fare.

Occorre un lavoro sistematico su tutti i corsi d’acqua?

Lo sanno bene tutti coloro che si occupano di queste cose. Molte di queste casse di espansione sono anche pronte sulla carta, ma c’è un complicato processo di realizzazione che coinvolge molti portatori di interesse: le aree così utilizzate possono perdere di valore, possono essere espropriate. Ci sono una serie di problemi anche burocratici. Succede in Veneto ma anche in Emilia-Romagna, che è un delle zone più a rischio dal punto di vista alluvionale.

Oltre alle casse di espansione ci sono altri interventi possibili?

Più a monte, anche se non è il caso dell’Emilia-Romagna, si può intercettare la piena. Ma si fa sui fiumi più importanti: sul Po, sull’Adige, creando invasi che potrebbero essere usati anche per altri scopi importanti, immagazzinando le risorse per uso agricolo o civile. Eravamo in siccità fino all’altro giorno, forse non ne siamo ancora usciti, ma non dimentichiamoci che siccità ed eventi piovosi estremi purtroppo diventano sempre più frequenti con il progredire dei cambiamenti climatici. Non vorrei che ora, presi come siamo dai problemi dell’alluvione, ci dimenticassimo già della siccità: l’abbiamo patita per due anni con danni importantissimi. Si ripresenterà sicuramente.

La gente delle zone alluvionate teme che si verifichino ancora fenomeni simili nell’immediato. Quali sono gli interventi urgenti necessari per ridurre i rischi?

Bisogna agire rapidamente. Il Governo deve stanziare subito i fondi per intervenire: il ripristino di un’arginatura e di certe infrastrutture richiede tempo, ma provvedimenti rapidi per far sì che se arriva anche una piena moderata non si ripetano i problemi possono essere messi in atto in modo relativamente rapido, con tamponamenti che verranno rafforzati successivamente. Abbiamo una tradizione importante di ingegneria idraulica, sappiamo cosa fare, bisogna ascoltare le persone giuste: i gestori dei Consorzi di bonifica, le Autorità di bacino, la Protezione civile. Abbiamo competenze di livello internazionale: non bisogna dare retta a esperti improvvisati come in certe trasmissioni televisive o radiofoniche.

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