Ha già metabolizzato il risultato delle comunali e del referendum. Non sono in questione i ballottaggi, e neppure le prossime politiche. È in atto, dice al Sussidiario, una trasformazione profonda che proietta la politica italiana verso qualcosa di nuovo, ma non per questo di innocente. Al contrario. Per Giulio Sapelli, economista, “andiamo verso una situazione libanese”, dominata dal tribalismo politico e dallo scontro violento di interessi contrapposti, nel quale la stessa Italia è a rischio. 



Professore, cos’è successo nelle urne?

È un voto di stallo. Mi pare che il popolo, anche se oggi non lo si può più definire così, sia in attesa.

Popolo è una parola desueta?

Il popolo esiste se c’è uno Stato. In Italia non c’è più, lo Stato intendo, quindi non c’è neppure il popolo.

Vada avanti.

Chiamiamoli gli elettori. Gli elettori attendono. Sanno che deve capitare qualcosa.



Che cosa esattamente?

Sentono che questo è un tempo di stragi. 

Di quali stragi parla?

Di Piazza Fontana, dell’Italicus e di molte altre che gli italiani dovrebbero conoscere. Eventi di cui la storia d’Italia è segnata nella carne. 

Si spieghi, per favore.

Andiamo verso una situazione libanese. Il mondo politico è lottizzato secondo appartenenze internazionali. I maroniti sono il Vaticano, i sauditi sono i francesi, mentre i russi non sono riconducibili a nessuno in particolare, pur essendo presenti in molti modi. Lo stesso vale per i cinesi. Gli americani sono la Meloni.

Atlantismo spinto. Come Letta?



Letta è un francese. Quindi non è totalmente affidabile. Per questo è un problema per gli americani. Non si possono fidare di lui, soprattutto ora che Macron è in gravissima crisi. 

E si fidano più della Meloni che di Letta?

Certo.

FdI è cresciuto, ma dove è andato da solo ha preso meno di FI e Lega alleati.

Infatti gli elettori non l’hanno seguita. Per questo è tutto molto pericoloso, perché di fronte a questi disegni l’elettorato si è ritratto.

È questa l’astensione, un corpo che si ritrae?

Esattamente. Si ritrae perché non vuole partecipare. È stanco, non ci crede più.

Voto amministrativo o politico? 

Distinzione superata. È il grande cambiamento: la politica è finita, quindi tutto, paradossalmente, diventa politica. Quando non riesci a fare un referendum sulla giustizia perché diventa un voto pro o contro Salvini, allora sei morto. 

Non ho capito se la politica è morta o no.

È morta nella forma che aveva prima, ora continua sotto altra forma. 

E qual è?

L’odio personale. 

I risultati di Genova e Palermo?

Aspettiamo i risultati definitivi. E stiamo attenti alla mafia. È entrata in pieno nel gioco politico, e ha in mano più di quello che pensiamo. Sia chiaro, a Palermo come a Milano, se non più a Milano che a Palermo. A Genova ha vinto l’uomo che ha rifatto il Ponte Morandi. Altro errore di Letta: invece di candidargli qualcuno contro, doveva allearsi con Bucci e fare un governo di unità nazionale.

Perché?

Per non permettere che la politica sia sostituita dalla lotta tribale. Per questo è un tempo che mi ricorda il terrorismo: c’era gente con un odio tribale tale che uccideva. Ora non ci si uccide più, però si odia. Ma non si può fare politica con l’odio.

Verona?

Più lotta tribale di così. Senza la politica prevalgono interessi elettorali immediati. Perché altrimenti il centrodestra si è diviso?

Ha senso parlare delle ricadute politiche di questo voto amministrativo?

È un voto che segna ontologicamente la fine della politica e l’avvento del tribalismo. Il dramma è che tutto questo accade in un momento di grave incertezza internazionale. Dove i poteri europei non sono ben definiti, dove gli Stati Uniti non hanno ancora deciso come vincere la guerra contro la Russia, annichilendola con un colpo fatale o tornando al modello Eltsin, e pagando per questo un prezzo altissimo, il disordine.

L’Italia?

Nel suo piccolo ha ruolo importante perché è un ponte verso l’Africa. Nessuno può volere che milioni di africani si riversino in Europa. Diventerebbero un problema sociale per tutti, America compresa. C’è un problema. Adesso la lotta non è per il dominio del Mediterraneo, ma dell’Artico. C’è il rischio che gli Usa considerino l’Italia ininfluente. I tal caso, sarebbe la fine.

Quale fine?

La nostra, la fine dell’Italia come Stato. L’Italia da sola non può continuare a esistere.

Diventeremmo periferia?

No, non periferia, ma Shael. Organicamente Shael. Noi viviamo come Stato solo dentro l’anglosfera. Se l’anglosfera ci lascia andare, o se noi ce ne andiamo, per l’Italia è finita. Come negli anni Trenta, quando Mussolini con la sua avventura in Etiopia si mise contro la Gran Bretagna. Corriamo lo stesso pericolo di allora. Finis Italiae.

Chiunque ci sia al potere negli Usa?

Esiste solo l’America e basta, chiunque la governi. Il vassallo non deve preoccuparsi di chi è l’imperatore. Basta che ci sia l’imperatore.

Però deve far bene il vassallo.

Certo. Questo però è un altro discorso. È una ventina d’anni che non facciamo più bene il vassallo. Da quando abbiamo flirtato con Arafat e i terroristi arabi.

Tra meno di un anno ci saranno le elezioni politiche. Come andrà a finire?

Non lo sappiamo. Secondo me si formerà un grande partito di centro che guarda a destra, con dentro più gente possibile: Toti, Calenda, Renzi, e via dicendo. Un sistema centripeto che attirerà a sé anche la Meloni. Letta e M5s faranno il loro raggruppamento… sarà un marasma bestiale. 

(Federico Ferraù)

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