Matteo Salvini ha ricevuto un mandato molto netto soprattutto al nord, nella parte più produttiva dell’Italia, quella più preoccupata dalla perdurante stagnazione e dall’incapacità del Paese di uscire dal suo lungo sonno. Ciò rende complessa e particolarmente delicata la gestione del successo. I dossier aperti sono davvero molti e su quasi tutti è in corso un braccio di ferro con il Movimento 5 Stelle, il partito dei no, ma anche quello che ha detto i sì sbagliati agli occhi dei propri elettori. Vediamone alcuni.
Il primo dossier in ordine di tempo, ma anche il più importante perché può davvero dare il segno della svolta negli equilibri politici ed economici, riguarda gli investimenti pubblici e i grandi lavori. Dalla Tav allo sblocca cantieri, è chiaro che la maggior parte degli elettori si è espressa contro i veti pentastellati, basti vedere il risultato elettorale in Piemonte. Tuttavia, proprio la sconfitta può spingere i grillini a chiudersi in una reazione identitaria accentuando le proprie rigidità ideologiche. Salvini vuole metterli con le spalle al muro e lo ha detto chiaro e tondo nella stessa notte elettorale, tuttavia fino a che punto può spingersi? Fino alla rottura? O, meglio, fino a costringere il M5S a rompere il matrimonio per incompatibilità di carattere e di comportamenti? Ancora non è chiaro, perché dalle urne non è emersa una chiara alternativa politica a meno di una vasta alleanza di centro-destra insieme a Silvio Berlusconi, che Salvini allo stato attuale non vuole.
Insieme ai cantieri ci sono poi i cosiddetti punti di crisi. Ogni giorno se ne aggiunge qualcuno (l’ultimo è il fallimento di Mercatone Uno), ma senza dubbio le partite più complesse restano l’Alitalia e Carige. Luigi Di Maio si è spinto molto in là sulla strada del salvataggio pubblico e Salvini lo ha lasciato fare, anzi ha fatto capire che a lui un ritorno dello Stato non dispiace. Ma gli ostacoli sono parecchi. I soldi innanzitutto (quanto e per quanto tempo i contribuenti potranno sostenere una compagnia che non riesce a volare con le proprie ali?); poi c’è l’Unione europea che non vuole aiuti di stato; e c’è la concorrenza di altri vettori che sono importanti sul mercato italiano, portano lavoro, quattrini, turisti (si pensi solo a RyanAir). Insomma, la partita è intricata.
Lo stesso vale per la Cassa di risparmio di Genova. Un salvataggio di Stato è visto con favore da Salvini, ma le autorità europee lo escludono. Il leader leghista non vede l’ora di “fare a botte” con Bruxelles, ma è in grado di incrociare i ferri anche con la Bce di Mario Draghi? Su quel terreno e con quell’avversario non uscirebbe certo vincitore perché è la Bce a tenere a galla il debito italiano. Draghi resterà fino a ottobre, il successore chiunque egli sia non sarà altrettanto comprensivo. Non solo. Salvini risparmia le forze per un’altra tenzone, quella sulle tasse e sul disavanzo pubblico che s’annuncia durissima.
Intanto, spuntano altre rogne come la fusione tra Fca e Renault. Ufficialmente non ci saranno licenziamenti (questo è l’impegno), ma le sovrapposizioni sono parecchie. Davvero sarà possibile saturare gli impianti italiani? Non solo: la Fca porta in dote i marchi del lusso (Maserati, Alfa e Ferrari sia pur indirettamente perché è quotata autonomamente in borsa). C’è già chi all’interno della Lega ha alzato la paletta ricordando che il Governo francese è azionista della Renault con il 15%. Come a dire che per tutelare gli interessi nazionali anche il Governo italiano dovrebbe acquistare un pacchetto di Fca. Con quali quattrini non si sa, forse aumentando il disavanzo pubblico?
E qui veniamo al dossier di tutti i dossier: la politica fiscale. Salvini ha detto che l’Iva non aumenterà e non vuol nemmeno sentir parlare di patrimoniale. In questo caso, come finanziare la flat tax senza tagliare la spesa pubblica? C’è una sola strada: aumentare il deficit. Il capo leghista ha già detto con espressioni colorite che lui dell’Ue se ne infischia e farà quel che gli pare. Ma che cosa e fino a punto si spingerà. In assenza di misure correttive il disavanzo viaggia verso il 3,5% l’anno prossimo. Dove potrà ancora arrivare? E quali saranno le conseguenze? Fin dai prossimi giorni la Commissione Ue dirà che i conti pubblici italiani sono da aggiustare. Secondo l’agenzia Bloomberg potrebbe già arrivare una messa in mora con tanto di procedura d’infrazione, anche se sembra una forzatura. La vecchia Commissione è morta e la nuova non è ancora nata, quindi il Governo italiano può manovrare in questa terra di nessuno per strappare qualche margine di ulteriore flessibilità. Quel che conta davvero, però, è lo spread che reagisce a ogni stormir di disciplina fiscale.
Le agenzie di rating hanno sospeso il giudizio, ma sono pronte a declassare ancora il debito italiano, e con esso anche il merito di credito di banche, assicurazioni, imprese. Si dice spesso che anche la Francia ha sforato per anni il tetto del 3% ed è vero. Invece è falso che la Commissione Ue non l’abbia punita perché è rimasta a lunga sotto procedura di infrazione. In ogni caso, il debito francese che era classificato con la tripla A è sceso di un gradino a doppia A. Quello italiano ha oggi tre B, se ne perde una arriva al limite oltre il quale i titoli vengono considerati spazzatura.
Non è chiaro fino a che punto Salvini porterà il conflitto con l’Ue. Il risultato delle elezioni europee ci dice che non troverà alleati per una politica di spesa facile e deficit crescente. Tanto meno per riformare i trattati con l’intento di ridurre il rigore fiscale come vorrebbe il leader leghista. I sovranisti con i quali fa gruppo sono i più ortodossi in finanza pubblica. La stessa Marine Le Pen che tuona contro l’austerità non ha mai sfidato l’Ue su questo terreno infido, limitandosi a tirate demagogiche. E al momento opportuno non farà sconti all’Italia. Non solo. Tutti gli altri paesi, anche i cosiddetti Pigs, sono ormai fuori dai guai, l’Italia è rimasta sola, un vagone di coda che rischia di staccarsi.
È la grande partita d’autunno nella quale la Lega non avrà aiuti esterni e neppure il consenso dell’alleato a cinque stelle. Il che rende meno forte e credibile la stessa sfida di Salvini spingendolo verso una resa dei conti finale con tanto di elezioni anticipate. Non sarà facile, anche perché è già cominciato il gioco del cerino che gira, acceso, di mano in mano. Votare subito per il M5S sarebbe come sanzionare il suo declino. In genere, chi porta il Paese alle elezioni viene punito, ma può darsi che l’universo nazional-populista abbia piegato anche la sintassi politica.