Pur in modi diversi, il complesso dell’elettorato europeo chiede più tutele per ottenere certezze di reddito, di sicurezza civile e ambientale. Se così, si può ipotizzare un futuro orientamento politico dell’Ue più aperto alla riduzione del rigore a favore di sostegni sociali, ma anche un rischio di chiusura verso l’esterno. La ricchezza della regione europea si basa sulla possibilità di diventare un centro del mercato globale, configurato come sistema aperto che importa molto come condizione per esportare moltissimo. E tale condizione sta diventando sempre più stringente da quando l’America ha abbandonato la precedente politica di accettare importazioni senza reciprocità pretendendo la simmetria: io ti apro il mio mercato se tu mi apri simmetricamente il tuo, in caso contrario ti metto dazi.



Poiché il motore economico dell’Ue si basa più sull’export che non sulla crescita di investimenti e consumi interni, e ci vorrebbero decenni per cambiare i modelli nazionali così configurati, il rischio (potenziale) è evidente: se il protezionismo sociale e nuove regole ambientali diventassero eccessivi e comportassero riduzioni dell’import attraverso barriere non tariffarie, per esempio standard troppo specifici e diversi da quelli globali, allora vi sarebbe un rischio di ritorsione oltre che quello di riduzione della competitività per le produzioni europee.



Per esempio, la trattativa doganale tra Ue e Usa che inizierà a dicembre è a rischio di impasse perché la prima vuole escludere l’agricoltura dal negoziato mentre i secondi premono per inserirla. Sul piano tecnico un compromesso è possibile, ma l’aumento delle correnti nazional-protezioniste in Francia e ambientaliste nell’area nordica permetterà all’Ue di perseguirlo o alcune nazioni porranno il veto? Nel secondo caso l’America metterebbe dazi che colpirebbero pesantemente l’export tedesco e italiano e ciò aumenterebbe la divergenza atlantica, favorendo la frammentazione del mercato mondiale in blocchi regionali (cinese, americano, europeo, russo, ecc.) con scambi decrescenti tra loro, eventualità che vedrebbe gli europei perdenti e impoveriti.



Il punto: ciò che farà l’Ue sarà rilevante per il mondo intero. La scelta protezionista sarebbe distruttiva. Quella di un super investimento per rilanciare dappertutto lo sviluppo e l’ottimismo economico, modificando l’eccesso di rigore “contabilista” delle euroregole, salverebbe globo ed europei, in particolare l’Italia.

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