Il commento più ricorrente nelle maratone televisive post voto europeo era quello dei ritorno del bipolarismo. È davvero così? Dipende. Perché sul termine bipolarismo bisogna intendersi. Se guardiamo agli ultimi tre decenni, infatti, il sistema politico italiano si è ostinatamente rifiutato a farsi ridurre al bipolarismo. Basti ricordare la corsa solitaria di Bossi nel 1996, oppure la nascita del movimento 5 Stelle, nel 2013.
Il punto più lontano è stato senza dubbio nel settembre di due anni fa, quando il campo avverso al centrodestra si è presentato in ordine sparso, addirittura spaccato in tre tronconi, con Pd e Avs alleati, ma divisi da grillini e terzo polo. Dalle urne delle europee sono venute due sentenze che riaprono la questione, tenendo conto che il polo di centrodestra è una solida realtà da un trentennio, da quando venne inventato da Silvio Berlusconi, di cui proprio oggi ricorre il primo anniversario della morte. Una realtà solida prima di tutto fra gli elettori, che ai rispettivi leader hanno perdonato praticamente tutto, dal “ribaltone” del 1994 all’ordine sparso post voto del 2018. Berlusconi, Salvini e ora Meloni: cambia (poco) la leadership, cambiano i pesi specifici interni delle tre forze, ma il centrodestra in Italia anche alle europee si è confermato intorno al 45-46% del consenso. Marciare divisi per colpire uniti, applicando al meglio la celebre massima del feldmaresciallo prussiano Von Moltke.
Ciò che sembra essere cambiato è tutto nell’altra metà campo. Perché il 24% insperato raccolto dal Pd di Elly Schlein fornisce all’altro polo il punto di coagulo che mancava. Le urne sono state impietose nello stabilire l’ordine dei valori. In primo luogo si sono spente tutte le velleità di Giuseppe Conte di concorrere per la leadership alternativa alla Meloni. E in secondo luogo il progetto del terzo polo si è autodistrutto sotto il peso degli smisurati egoismi di Carlo Calenda e Matteo Renzi: dividersi e farsi una concorrenza spietata si è rivelata la peggiore delle idee possibili.
Per Elly Schlein, smentiti tutti i profeti di sventura, dopo la più che legittima soddisfazione, adesso viene il difficile. L’onere di ricucire tutto il campo dell’opposizione ricade interamente sulle sue spalle. E sarà un’impresa titanica, visto che ogni volta che tutto il campo del centrosinistra si è unito l’ha fatto più “contro” il centrodestra, che “per” una intesa programmatica. L’Unione di Prodi, da Mastella a Turigliatto, del 2006 sta a monito della difficoltà dell’operazione, visto che tutti ci ricordiamo come andò a finire, nel gennaio del 2008.
Chi ci sta? Schlein ha correttamente detto che non è più tempo di divisioni e di veti, ma Calenda, che per la prima volta ha aperto a un dialogo con il resto delle opposizioni, ha messo le mani avanti: “se si tratta di abbandonare l’Ucraina non ci staremo mai”. Sembra il film del 2006-2008, con lo psicodramma ogni sei mesi, quando si trattava di rinnovare il mandato alle missioni di pace all’estero e Rifondazione votava contro. Come allora, sarà la politica estera il primo banco di prova della coalizione da costruire. Cosa diranno i democratici, Bonelli, Fratoianni, Calenda e Conte su temi come il conflitto fra Israele e Hamas, la NATO, la difesa europea? Saranno capaci di parlare la stessa lingua?
Con intelligenza Elly Schlein ha lavorato negli ultimi mesi su temi concreti come le liste d’attesa nella sanità, o il reddito minimo. È il modo migliore di cucire il consenso di un fronte ampio e variegato, ma non mancheranno i nodi da sciogliere. Basta pensare a temi delicati come reddito di cittadinanza o superbonus, che hanno spinto in alto il consenso dei grillini, ma che i centristi hanno avuto modo di criticare ampiamente anche per le conseguenze devastanti sui conti pubblici. E risulta difficile immaginare che della partita possa far parte Renzi, che guarda assai più verso Forza Italia che non verso Avs o M5s.
L’onere della prova è adesso tutto sulle spalle di Schlein. Si comincia dai territorio, dalle Regioni in cui si voterà in autunno. Per competere con Meloni le serve un campo largo, anzi larghissimo. Si comincia da Umbria ed Emilia-Romagna.
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