Gli interventi di Enrico Letta e David Sassoli sul Mes (“anacronistico”), sulla sospensione del patto di stabilità, sull’indebitamento comune, sulla cancellazione del debito causato dal Covid, sulla “mentalità nuova” necessaria in Europa hanno rianimato le cronache politiche. Il fatto che due esponenti politici di fede europeista abbiano detto cose “sovraniste” ha indotto tutti i commentatori a ritenere che ci fosse dell’altro e probabilmente è così. L’operazione, si è scritto, potrebbe avere obiettivi soltanto di politica interna e far parte dei calcoli di alcuni candidati Pd – Sassoli, Letta – in vista dell’elezione del prossimo presidente della Repubblica, nella quale i voti grillini sono indispensabili. È vero che in politica esistono solo le prossime elezioni, però le dichiarazioni restano e vogliono sempre dire qualcosa. Come quella più importante rilasciata da Sassoli, che potrebbe sembrare scontata – “Per cambiarie governo dell’Europa bisogna mettere mano ai trattati” – ma che, detta dal presidente dell’europarlamento, non lo è affatto.
“Qualcuno ha cominciato a pensare al dopo” dice Alessandro Mangia, ordinario di diritto costituzionale alla Cattolica di Milano “e si è accorto che con questi Trattati si va a sbattere. O molto peggio”.
Lei che cosa vede in questo episodio? Dichiarazioni strumentali o realismo di governo?
Una cosa non esclude l’altra. Le interviste in simultanea di Letta e Sassoli possono senz’altro essere lette in una prospettiva interna. E così è stato fatto da qualcuno. Sta di fatto che mettono a fuoco due aspetti importanti del problema con il quale prima o poi ci troveremo ad avere a che fare, e cioè la tenuta dei Trattati europei in punto di politica monetaria e di bilancio nell’Europa del dopo-pandemia.
Vediamo di capire perché.
Il nostro rapporto debito/Pil a fino 2020 sarà del 160%. Francia e Spagna viaggiano, miliardo più miliardo meno, verso il 120%. Come si concilia questa situazione con Trattati che sono stati progettati per funzionare con Stati al 60% del rapporto debito/Pil? E con una Banca centrale che sta operando secondo linee che, di fatto, derogano il divieto di monetizzazione dei debiti pubblici? Lei crede che fra un anno questi debiti pubblici saranno scesi? Io non credo. Anzi. È giusto cominciare a pensarci.
Questo che cosa comporta?
Comporta che i Trattati rischiano di diventare inapplicabili alla realtà del dopo-pandemia. E l’Europa, se non si fonda sui Trattati, su che cosa si fonda? Adesso tutti si guarda ai contagi. Ma dopo?
Allora come va letto, nell’attuale situazione europea, il momento di verità Letta-Sassoli?
Significa che qualcuno giustamente si sta ponendo il problema. Nelle settimane scorse segnali in questo senso sono venuti anche dalla Lagarde. Draghi nel suo ultimo discorso al Parlamento europeo aveva posto il problema dello statuto della Bce nel mondo che stava arrivando. Il problema di ogni discorso sull’Europa è quello di dover scindere i piani e distinguere le valutazioni di politica interna da quelle che riguardano i rapporti intergovernativi; quelle che fanno capo alle famiglie politiche europee da quelle che riguardano la competizione istituzionale tra Consiglio e Commissione. E via dicendo.
E indubbiamente la stampa non aiuta a distinguere. Fatta questa premessa?
L’Europa, purtroppo, è una poliarchia fatte di 28 poliarchie nazionali. È difficilissimo fare un discorso che non sollevi critiche o reazioni da qualche parte. Insomma, le cose di Letta e Sassoli sono sensate perché individuano dei problemi che o ci sono già, o entreranno in scena a breve. È chiaro però che, oggi come oggi, sono politicamente impraticabili.
Fino ad oggi siamo rimasti ancorati all’assetto fondato sulla Bce e sugli strumenti di salvaguardia dell’euro, come il Mes. Che cosa sta succedendo adesso invece?
Succede che l’impianto messo in piedi dopo la crisi greca non sta funzionando. Quel sistema era imperniato sull’ipotesi di una crisi asimmetrica di un singolo stato – tipo Grecia 2010 o Italia 2012 – cui veniva offerto il finanziamento del Mes, e poi l’acquisto illimitato di azioni attraverso le Omt. Al tempo stesso si metteva in campo un sistema di controllo preventivo e successivo sui bilanci statali attraverso il Six Pack, e addirittura, nel Fiscal Compact, un obbligo di rientro di 1/20 all’anno per la quota eccedente il 60% del rapporto debito/Pil.
Ebbene?
Le sembra che abbia funzionato? O le sembra credibile che l’Italia faccia consolidamento fiscale, abbattendo di 1/20 all’anno la differenza tra 160 e 60 dopo la pandemia? O che la faccia la Francia? È evidente che quell’impianto è diventato inapplicabile.
Che cosa bisogna fare?
Bisogna pensare a come adattarlo ad una crisi che colpisce tutti contemporaneamente – anche se in modo diseguale – e che ha un’ampiezza e una durata mai vista dalla Seconda guerra mondiale. Chi sa di storia economica sa che, perdurando questa situazione, i rischi sono simili quelli di un’economia di guerra.
Dunque è questo il vero bivio continentale nel quale ci troviamo. Perché i Trattati europei ci hanno messo in angolo?
Perché sono calibrati su principi e politiche che erano quelli dell’Europa anni 80 e non conoscono la parola “crisi”. I famosi parametri “stupidi” (così detti da Romano Prodi, ndr) erano stati costruiti per induzione dagli indicatori macroeconomici degli Stati dell’Europa occidentale prima di Maastricht ’92.
Un’era geologica fa.
Appunto. Infatti i parametri sono saltati, ma le dottrine di costituzione economica codificate nei Trattati sono rimaste lì. Basti pensare a certe reazioni di questi giorni alla proposta di cancellazione dei debiti Covid acquistati dalla Banca centrale in cambio di titoli di Stato. Li si tratta come se fossero debiti dello Stato verso privati. E ho detto tutto.
Lei ha detto che il programma auspicato da Letta e Sassoli è impraticabile. Tecnicamente forse. Ma politicamente?
È chiaro che in astratto si potrebbe fare. In astratto si può fare tutto. Anche sterilizzare questo debito da un punto di vista contabile, visto che, contabilmente, è una partita di giro. Non è un debito dello Stato italiano con investitori privati, ma con la Banca d’Italia che gira gli interessi allo Stato, esattamente come avveniva prima del 1980. Ma il dato contabile non è il dato economico. E neppure il dato politico.
Perché?
Se pensa che questi acquisti, da marzo ad oggi, sono stati asimmetrici, non crede che qualcuno si alzerebbe in Consiglio Europeo a dire che finora la Bce ha aiutato più l’Italia dell’Austria? O che sta aiutando più la Francia dell’Olanda? E che quindi non si può fare, se no si distorce il mercato, e si mutualizzano indirettamente i debiti? Questo dovrebbe darle la misura della fattibilità oggi di questa proposta. Nondimeno il problema del dopo resta.
Che cosa sarebbe, a pandemia finita, una politica di consolidamento fiscale per abbattere il debito pubblico?
La condanna di un intero continente, nel migliore dei casi, alla stagnazione. Non è un caso che la Lagarde e altri abbiano già iniziato a dire che il Patto di stabilità, sospeso a marzo per il 2020, è bene che non rientri in gioco fino al 2023. In questa fase tutte le economie europee sono sussidiate, esattamente come in tempo di guerra. O direttamente dagli Stati nazionali, attraverso deroghe o allentamenti degli aiuti di Stato, o indirettamente attraverso l’acquisto di debiti pubblici.
Ma che cosa si dovrà fare per tenere insieme l’ex “concerto” europeo, o come lei l’ha definita, la poliarchia europea?
Si dovranno cambiare i Trattati e le regole di bilancio. Il come dipende da un’infinità di fattori che non possiamo nemmeno intravedere. Certo, nel dopo pandemia ci sarà una quantità di liquidità enorme in giro… esattamente come dopo una guerra. Ma questo sarà un problema mondiale, non solo europeo. E non si sa se sarà in giro o solo nei mercati finanziari.
Una parentesi, prima di concludere. Che cos’è il Mes in questo contesto?
Il Mes è figlio della crisi precedente ed è fatto per funzionare in un altro mondo. Ho già detto mesi fa che se fosse stato un ente pubblico di diritto interno sarebbe stato ritenuto un ente inutile e sciolto. Tant’è vero che nessuno lo ha preso. E non perché i 400 mld a disposizione del Mes non servano. E nemmeno perché non sia stato approntato il Mes light a condizionalità solo sanitaria.
Allora per quale motivo?
Perché il Mes light non può esistere: è in contrasto con i Trattati. E il Trattato Mes è fermo dal 2012. Basta confrontare la resa nulla del Mes con il diverso fondo Sure che, messo in piedi nel maggio 2018, è già operativo ed è stato preso, anche se del Sure non si conoscono ancora i tassi di finanziamento.
La differenza?
Il Regolamento Sure non ha le condizionalità del Trattato Mes. Per questo l’idea di mobilizzare i 400 mld del Mes trasformandolo in un Sure sanitario avrebbe molto senso. Ma dubito che si farà.
E perché?
Perché bisognerebbe cambiare radicalmente il Trattato Mes, e del Mes non si è voluto cambiare nemmeno il Regolamento di attuazione.
Torniamo al destino dell’Unione. Se l’Ue applica i Trattati vigenti precipita in miseria. Se vuole cambiarli, non è pronta per farlo. Ci vuole un consenso politico che non c’è.
Che in questo momento non c’è e non ci può essere. Si dovrà essere sull’orlo del precipizio perché ci si riesca. E ci dovrà essere un consenso al cambiamento tale da superare le resistenze di chi vuole tenere in piedi il vecchio impianto. Sarà una guerra, combattuta ai tavoli negoziali anziché sulla Marna.
Lei è ottimista o pessimista?
Dico semplicemente che dalle soluzioni del dopo pandemia, e dalla riforma dei Trattati, dipendono gli assetti futuri del continente. L’alternativa è riattivare, a crisi conclusa, il Patto di stabilità, e riportare la Bce a guardiano dell’inflazione, come se niente fosse stato. Sa una cosa?
Dica.
Non lo escludo affatto. C’è molta gente che la vede ancora così. È evidente che la lezione degli Eurobond non è bastata. Anche se oggi ci si arrabatta attorno al Recovery Fund. Il problema è che il mondo di ieri non ritorna.
(Federico Ferraù)