L’arrivo della tranche del Pnrr fa tirare un sospiro di sollievo a Giancarlo Giorgetti. Il ministro dell’Economia aveva fatto preparare un piano B: un’emissione straordinaria di Btp pari a oltre 20 miliardi di euro. Più debito e più costi visto che i titoli a dieci anni oggi sono al 4%, ma lo spread è basso e l’accoglienza delle precedenti emissioni è stata buona. Insomma, non c’era nessun rischio di insolvenza, ma un buco questo sì da riempire nel solo modo finora utilizzato: prendendo a prestito sul mercato visto che la Bce non li compa più, del resto ne ha già davvero tanti.
Secondo le stime nel dicembre scorso, i Btp detenuti da Bce e Banca d’Italia ammontavano a 697 miliardi di euro, pari al 25% del debito pubblico italiano. Dunque, è un bene che non si aggiunga debito a debito. Scampato il pericolo immediato, scartato il piano B, il Governo si trova adesso ad affrontare il piano A, cioè la politica di bilancio per il prossimo anno in un quadro congiunturale senza dubbio più debole.
Giovedì prossimo la Bce annuncerà un nuovo rialzo dei tassi d’interesse. Sarà l’ultimo come auspica la Banca d’Italia? Forse, ma a Francoforte prevale l’idea che l’inflazione non sia domata, quindi bisogna colpire ancora. Fino a provocare una recessione? Anche, questa finora è la linea maggioritaria. Speriamo che cambi, tuttavia bisogna partire dalla constatazione delle realtà attuale. Anche l’industria esportatrice, la locomotiva della crescita italiana, sbuffa ed è appesantita dalla stagnazione tedesca.
Giorgetti, ministro silente (parla meno persino del suo predecessore Daniele Franco ed è una fortuna, guardando al cicaleccio che accompagna buona parte dei suoi colleghi di governo), ha messo al lavoro le strutture tecniche del ministero per capire a che punto sono le finanze pubbliche. L’obiettivo è contare gli spiccioli e sapere quanto è rimasto in cassa per accontentare le esigenze oggettive e impreviste (si pensi all’alluvione in Romagna), così come le richieste dei partiti di maggioranza, dei sindacati, dei gruppi di interesse che premono (due per tutti, Confindustria e Coldiretti).
Il primo problema davvero trasversale è l’erosione dei redditi provocata dall’inflazione, o soprattutto sui salari che non sono indicizzati automaticamente. Prendendo la spesa corrente al netto degli interessi, per recuperare il potere d’acquisto del 2022 eroso da un aumento dei prezzi dell’8,1%, ci vuole una quarantina di miliardi. Il recupero non è stato fatto lo scorso anno, se non in modo molto parziale attraverso i sussidi per il caro energia. E non è chiaro come il Governo potrà trovare le risorse che servono a prorogare il taglio del cuneo fiscale (11-12 miliardi di euro), nonché per le esigenze davvero indifferibili che si presenteranno in autunno.
Quei 40 miliardi stimati sono destinati a crescere e a pesare sul debito. Secondo i calcoli dell’osservatorio dei conti pubblici, prendendo per buoni gli obbiettivi annunciati nel Documento di economia e finanza, la spesa corrente (sempre senza interessi) deve scendere di 4 punti percentuali di qui al 2026 (dal 44,8% al 40,8%), quindi significa che ci aspetta una serie di tagli davvero consistenti alla spesa pubblica. C’è già chi parla di una “austerità in versione Meloni”, ma senza arrivare a questa iperbole, non bisogna essere disfattisti per concludere che nel piano del Governo non c’è spazio per le richieste dei sindacati e nemmeno per quelle dei partiti di maggioranza in materia di pensioni, pubblico impiego, servizio sanitario, istruzione, riduzione della pressione fiscale e tutto il resto. Trovare le risorse è il rompicapo di Giorgetti che rischia di passare davvero un’estate rovente (e non solo per colpa del solleone o riscaldamento climatico che dir si voglia).
L’opposizione può obiettare che nella Legge di bilancio il governo avrebbe potuto evitare di sprecare risorse sulle promesse elettorali, ma sommando flat tax, tregua fiscale e Quota 103 si arriva poco sopra i due miliardi di euro, secondo l’osservatorio della Università Cattolica. Il grosso della manovra per quest’anno è dedicata al contrasto del caro energia e al taglio del cuneo fiscale, misure necessarie, tuttavia hanno mangiato buona parte dei margini di manovra. C’è sempre la solita evocazione di una “seria revisione della spesa”, invece dei tagli indiscriminati operati dall’inflazione. D’accordo, però ormai la spending review è diventata un tormentone parallelo all’eterno recupero dell’evasione. Due scelte fondamentali, sia chiaro, alle quali non crede più nessuno visto che si continuava a evadere (lo zoccolo dei cento miliardi di euro non viene intaccato da tempo) anche prima che Salvini evocasse l’ennesima “pace fiscale”, e non si smette di spendere e spandere.
Non chiamiamola austerità, ma le somme da recuperare sono davvero ingenti. Giorgetti dovrà prendere davvero ispirazione da Quintino Sella, senza tassa sul macinato.
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