Lunedì 16 gennaio 2023: mentre i palermitani, ma non solo loro, piangevano fratel Biagio Conte, e in tanti si recavano per rendergli omaggio e mentre si preparavano al funerale del giorno successivo, è piombata su tutti la notizia dell’arresto di Matteo Messina Denaro.
Esauriti i giusti riconoscimenti alle forze dell’ordine e le inevitabili curiosità sulla “vita privata” del latitante più famoso, si è fatta strada la domanda di sempre: quali sono gli strumenti più efficaci in questa lotta alla mafia che sembra senza fine?
Non v’è dubbio che se la mafia è innanzitutto una “mentalità” deviata, ad essa occorre contrapporne un’altra di maggiore incidenza e persuasione: quella che tutta la società civile, a partire da quella palermitana, ha saputo proporre e si è diffusa subito dopo le stragi del 1993.
Alcuni risultati sono stati conseguiti, se pensiamo all’educazione impartita ai giovani e a tante esperienze di resistenza, come quella dei commercianti, che sono state e sono tutt’ora operanti. Si potrebbe dire in estrema sintesi che l’impegno per l’educazione rimane la frontiera più strategica.
E fratel Biagio Conte come ha contribuito e può continuare a contribuire a questo corale impegno? La domanda non appaia retorica, sia perché fratel Biagio non ha mai lesinato giudizi e iniziative per contrastare la mafia, sia perché ci ha lasciato uno strumento forse tra i più efficaci per assolvere a questo compito: il suo popolo.
Il popolo che è nato dai suoi 30 anni di testimonianza evangelica e di impegno sociale non è il frutto di particolari circostanze, di necessità contingenti, di opportunità del momento; è un popolo nato dalla paternità che ha generato figli certamente legati alla sua persona, al suo indubbio carisma, ma soprattutto riconoscenti per la sua testimonianza di fede, per il suo amore a Dio e alla Chiesa.
Ma, si badi bene, questi legami non sono riducibili a effimeri sentimenti spiritualistici. Così come lui ha dato la sua vita per i suoi amici, essi sono stati disposti e sono ancora pronti a ricambiare con la stessa radicale generosità.
Ne sono segno perenne le tante storie che hanno contrassegnato la nascita e la crescita di questa realtà di popolo “sui generis”. Storie di dedizione, abnegazione, amore ai tanti casi difficili e bisognosi che lui ha intercettato e a cui ha potuto offrire aiuto facendoli diventare parte di questo popolo. Non le potremo mai conoscere tutte, ma quelle note, quelle emerse nelle testimonianze raccolte dai cronisti in questi giorni, raccontano della speranza che è stata “iniettata” nella vita da quell’incontro.
Biagio nella risposta concreta al bisogno sapeva infondere innanzitutto la speranza, perché guardava nella persona che incontrava il suo valore senza limiti. Fino a poco prima di Natale dalla sua stanzetta per telefono rincuorava chi lo cercava e, sebbene impedito a muoversi fisicamente, non smetteva di chiedere un sostegno per i tanti che gli chiedevano di intervenire.
Parte di questo popolo ha saputo scendere in piazza in questi anni per dire no alla mafia, ha accompagnato Biagio nelle sue proteste pacifiche, nei suoi digiuni, come quello dinnanzi alle Poste centrali, quello dinnanzi all’ingresso della Cattedrale, quello sotto alla casa del beato Pino Puglisi, a favore dei tanti stranieri disperati in cerca di asilo e di integrazione.
Con questo popolo Biagio ha edificato una città nella città. Una città non protagonista nelle cronache, ma radicata nel cuore e nella via di molti. L’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice lo ha così ricordato: “Il sogno di Biagio era di una città che non perde il suo vero tesoro. Biagio non pensava a una città senza Dio perché se c’è Dio si riparte dai più piccoli e si resta piccoli. E oggi abbiamo bisogno di questo, di una piccolezza che riesce ad abbracciare tutti”.
La città di Biagio era fondata su Dio perché da Lui sorgeva il valore della persona, anche di chi è diverso o la pensa in altro modo: da un Dio che non ha risparmiato la croce a suo Figlio per amore di ciascun nato da donna. Dal valore di ogni persona riconosciuto e affermato è sorta una socialità diversa, tenuta insieme non da interessi comuni ma dall’affezione per sé e per l’altro e capace di far crescere integralmente i poveri insegnando un lavoro, proponendo un’educazione, coinvolgendoli in un compito.
Tutti i suoi poveri e molti altri colpiti da questa umanità si sono raccolti attorno a lui nelle ultime fasi della malattia fino alla sua morte. Hanno dato vita e voce a quel popolo di migliaia di individui che per giorni ha fatto visita alla sua salma e che infine ha preso parte ai suoi funerali. Un popolo variegato socialmente, etnicamente, spiritualmente. Un popolo, addolorato ma lieto, grato di avere fatto l’esperienza di incontrare un santo, cioè un uomo capace di generare perché continuamente generato dal Mistero e dunque capace di affermare il bene in questo mondo apparentemente impermeabile alla gratuità.
Questo popolo silenzioso e presente, discreto e intransigente, che la mattina del 17 gennaio ha salutato fratel Biagio che compiva il suo destino entrando in Paradiso, richiama alla mente un famoso documento della tradizione cristiana: la “Lettera a Diogneto”. Essa inizia così: “I cristiani non si differenziano dagli altri uomini né per territorio, né per il modo di parlare, né per la foggia dei loro vestiti. Infatti non abitano in città particolari, non usano qualche strano linguaggio, e non adottano uno speciale modo di vivere”. E poi più avanti spiega e chiarisce: “Vivono nella carne, ma non secondo la carne. Vivono sulla terra, ma hanno la loro cittadinanza in cielo. Osservano le leggi stabilite ma, con il loro modo di vivere, sono al di sopra delle leggi … Sono poveri e rendono ricchi molti; sono sprovvisti di tutto, e trovano abbondanza in tutto. Vengono disprezzati e nei disprezzi trovano la loro gloria; sono colpiti nella fama e intanto viene resa testimonianza alla loro giustizia. Sono ingiuriati, e benedicono; sono trattati in modo oltraggioso, e ricambiano con l’amore”.
Don Pino Vitrano a conclusione del funerale ha salutato il suo “fratellino Biagio”, dando voce alle migliaia di amici che erano lì: è l’eredità di fratel Biagio per tutti, è una proposta di educazione integrale capace di cambiare le coscienze e costruire solidarietà reale. Fratel Biagio, morendo, ha illuminato una Palermo capace di perdono, di inclusione e di costruzione (attualmente sono dieci le strutture di accoglienza e di educazione al lavoro della Missione): è questa la Palermo che desideriamo si affermi, togliendo sempre più terreno a una criminalità organizzata che riconosce oggi nella Chiesa uno dei suoi più temibili avversari.
C’è un dato numerico che accomuna Matteo Messina Denaro e Biagio Conte. Sono gli ultimi 30 anni. Quelli che il primo ha deciso di trascorrere nell’isolamento della latitanza e quelli che il secondo ha trascorso nell’impegno con tanti fratelli poveri. Non sappiamo come si concluderà la vita del boss, sappiamo che Biagio ha concluso la sua tra il suo popolo che lo ha amato e che proprio per questo amore sarà disposto a fare di tutto per continuare la sua opera.
Questo popolo silenzioso e caparbio contribuirà con tutti gli altri a costruire quella città di Palermo in cui sarà impossibile fare a meno di Dio e grazie anche a questo popolo si darà a tutti una speranza per sconfiggere tutto ciò che sfigura l’uomo, compresa la mafia.
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