“Viviamo tempi interessanti. Forse troppo”, dice spesso Mario Sechi, oggi direttore dell’Agi. In effetti non è semplice vivere in mezzo a pandemie, guerre, crisi economiche, transizioni più o meno giustificate, cambi di paradigma.
Può sembrare un’affermazione curiosa, ma è proprio il cambio di paradigma a costituire una delle maggiori difficoltà da superare, perché i problemi si affrontano diversamente a seconda della visione del mondo che si ha. Con il venir meno dell’influenza delle grandi agenzie di senso (Chiesa inclusa), hanno preso il sopravvento pochi miliardari e pseudo-filantropi capaci di influenzare governi e grandi istituzioni internazionali.
Il primo paradosso è che i seguaci di questi oggettivi dittatori (strettamente alleati ai grandi gestori della comunicazione on-line, i cosiddetti Gafam) appartengono in gran parte ad una sinistra che da tempo ha abbandonato la difesa degli operai e dei meno abbienti. Non si sa se per convinzione o per la pressione della pubblicità, la quasi totalità del giornalismo internazionale e nostrano ha sposato in pieno le cause del nuovo gruppo di potere, costruendo una narrazione della società quasi impermeabile ad ogni altra opzione.
Così l’eventuale conquista della Camera americana da parte dei repubblicani è stata considerata un pericolo per la democrazia, riprendendo pari pari gli allarmi del presidente Biden.
Ma sui giornali italiani si è parlato ben poco delle elezioni di midterm.
Nel momento in cui appare certa la perdita della Camera da parte dei democratici, mentre il Senato è in bilico per un solo voto di differenza, Biden ha affermato: “Abbiamo vinto. Non c’è stata l’onda repubblicana”. Ancora una volta è opportuno ricordare quanto Mussolini disse a proposito dell’Abissinia: “Siamo arretrati su nuove e più avanzate posizioni”.
Neanche avessero ricevuto tutti la stessa velina, tutti i nostri giornali e telegiornali, improvvisamente accortisi del tema, sono corsi a ripetere all’unisono: “I repubblicani non sfondano”, scrivendo nel sottotitolo: “I repubblicani hanno vinto alla Camera ma il Senato è in bilico”. Notevoli le perle del Gr2: “In crisi i candidati di Trump, ne sono passati solo 200 su 300”. Solo? Per poi quasi tacersi su questo tema nei giorni successivi.
La verità è che gli alfieri del pensiero di sinistra, che in Italia hanno occupato tutti gli spazi possibili da molti anni a questa parte (giornali, tv, cinema, arte, editoria, cultura, università, scuole, eccetera) reagiscono molto malamente ad un evidente cambio di paradigma: come è avvenuto in Italia, in molti Paesi i conservatori stanno riacquistando spazio e questo irrita profondamente un potere assai consolidato, al punto di far perdere il lume dell’intelletto a persone che si penserebbero intelligenti. Il direttore di un foglietto che tira poche copie ma è sempre molto sopravvalutato, ha sostenuto trattarsi di mere gaffes i segni di una ingravescente demenza senile che qualunque medico può riscontrare in Biden.
Quasi tutti i nostri editorialisti considerano Biden un baluardo della democrazia, dimenticando che una persona con così evidenti problemi comportamentali e cognitivi ha accesso alla valigetta con i pulsanti delle armi atomiche. Mentre guida un partito che ha sempre sostenuto le bugie in base alle quali sono stati distrutti l’Iraq e l’Afghanistan, solo per citare due Paesi in cui sarebbe stata esportata la democrazia americana.
Prontissimi a criticare le smargiassate di Trump o di Bolsonaro (e su questo non si può non essere d’accordo) e a citare il successo del governatore repubblicano della Florida Ron DeSantis, ma solo in quanto possibile avversario di Trump alle primarie. Pochissima rilevanza è stata data alle sue prese di posizione contro la woke culture, che hanno convinto anche parte degli elettori ispanici, molto sensibili ai valori tradizionali, o ad un modello di governo che è stato capace di superare la pandemia senza distruggere l’economia con dannosi lockdown. Nessun commento positivo alla sua famiglia “tradizionale” riunita intorno a lui nel discorso di riconferma a governatore, mentre centinaia di commenti soddisfatti sono stati profusi invece sul fatto che è stata eletta la prima governatrice lesbica dichiarata.
Se si guarda la carta dell’America che rappresenta i risultati elettorali, si scopre con sorpresa che è quasi tutta rossa (il colore dei repubblicani). Un colore, che, ad onta dei titoli dei media nostrani, sembra incarnare il famoso urlo fantozziano davanti all’ennesima proiezione della corazzata Potemkin.
Se i repubblicani non conquisteranno anche il Senato è certamente una responsabilità di Trump che, come è stato giustamente fatto notare su queste pagine, intende continuare ad occupare la scena ad oltranza badando più a se stesso che a quella parte del Paese che ambisce a vivere come in Florida, governata da un conservatore molto preparato e senza conflitti di interesse.
Diversi sociologi stanno osservando che ovunque la woke culture, a base di continue esagerate esaltazioni dell’ideologia gender, sta cominciando a stancare. Ignara di tutto ciò, la Rai si appresta ad accontentare i gusti del direttore dell’intrattenimento Coletta con un programma a base di Drag Queen in prima serata, da lui definito “un esempio di libertà”.
Altro che cambio di paradigma.
Appena si accenna alla necessità di riequilibrare la vera e propria dittatura del pensiero libertino-radicale-sinistro-genderfluid eccetera, si alzano alti lai da quelli che hanno sempre spadroneggiato considerando antidemocratico qualunque sostegno della tradizione, dell’educazione e del reale rispetto della natura.
“It’s a long way to Tipperary” cantavano nel 1922 i soldati irlandesi del reggimento irlandese Connaught Rangers, in marcia a Boulogne, pieni di speranza…
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