Già alla vigilia del midterm Usa sul Sussidiario si era notato che una “non sconfitta” del presidente Biden sarebbe stata una “non cattiva notizia” per Giorgia Meloni e il suo governo neonato: una svolta – quella dell’ultimo voto politico e della nuova maggioranza e leadership – che aveva goduto del favore quanto meno oggettivo di Washington. FdI era stato – e resta – l’unico partito italiano schierato senza esitazioni dietro la Nato a trazione Usa in campo in Ucraina. L’unica forza politica, in fondo, capace di garantire oggi a un’amministrazione americana il ruolo storico dell’Italia dentro la Ue e nel Mediterraneo.
Ora la “semi-vittoria” democratica – per quanto parecchio mediatica e ancora da verificare nelle cifre – pare riverberarsi in quanto tale sul complesso debutto dell’esecutivo italiano di centrodestra. La premier certamente “vince” allorché la Casa Bianca non è ancora uscita dal midterm come “anatra zoppa”.
Anzi: una campagna presidenziale 2024 che si annunciava in erta salita per i dem, vede ora Donald Trump quasi neutralizzato e respiro per il partito di Biden, che ha potuto darsi un anno di tempo per decidere sulla ricandidatura. Due anni di “stabilità americana” si profilano sulla carta come un orizzonte temporale importante per Meloni e il suo esecutivo. Senza contare che era stato Trump il grande “endorser” di “Giuseppi” Conte (oggi leader M5s) ma anche dell’intero “ribaltone” del 2019. Quello pilotato dalle fazioni Pd (filocinesi) che oggi spingono il partito di Enrico Letta all’abbraccio “à la Mélenchon” con Conte.
Questa premessa di forza relativa per Meloni crea tuttavia prospettive problematiche. Se n’è avuta conferma “ad horas”: mentre gli americani votavano, in Europa si è sviluppata l’ennesima crisi attorno all’emergenza migratoria. Ancora una volta l’Italia è stata messa sul banco degli imputati – da Bruxelles, da Parigi e Berlino – dopo anni di colpevole assenza di solidarietà europea da parte Ue. Dopo anni di gravi doppiopesismi (la Spagna e la Grecia hanno potuto erigere muri militari contro i migranti dalla Turchia e dai Paesi dell’Africa occidentale, spesso con l’appoggio di Bruxelles).
Nelle ultime ore due situazioni hanno fatto emergere in modo critico le tensioni fra Roma e l’Europa: da un lato l’ondeggiamento della Francia verso la crisi di Catania; dall’altro la presentazione di una bozza unilaterale della Commissione sulla revisione dei parametri di stabilità economico-finanziaria.
Il presidente francese, Emmanuel Macron, aveva inizialmente offerto una sponda di compromesso: ventilando lo sbarco a Marsiglia di due navi ferme davanti alle coste italiane. Era parso l’esito di una doppia dinamica. Da un lato Macron aveva accettato un incontro privato con Meloni (insediata da poche ore) a margine di un evento a favore della pace promosso dallo Comunità di Sant’Egidio. L’apertura francese sugli sbarchi è giunta dopo l’udienza concessa al presidente francese da Papa Francesco, che a sua volta aveva speso parole d’incoraggiamento al governo Meloni e l’appello a una reale solidarietà europea con l’Italia.
Su un piano più strettamente diplomatico i primi segnali d’intesa fra Parigi e Roma sono parsi innestati sulla crescente problematicità della leadership tedesca in Europa, sotto la pressione della crisi ucraina e delle relazioni con la Cina. E su questo sfondo non ha sorpreso nessuno che – ancora una volta: proprio in queste ore – la Commissione Ue abbia riaperto il dossier della revisione dei parametri di Maastricht: una notizia non buona per Roma ma neppure per Parigi, al di là dello stato ancora primordiale delle ipotesi operative. Non c’è dubbio che la solerzia di Bruxelles e Berlino sui conti pubblici (anzitutto italiani) accoppiata con lo stallo sul “gas price cap” confermi la volontà europea di tenere sotto pressione l’Italia: non più di Mario Draghi e oggi di Meloni. Con una sicura linea di continuità: un netto posizionamento atlantico. Con l’America di Biden: uscito ammaccato ma non abbattuto dal midterm. La Germania, molto probabilmente, avrebbe preferito il contrario. Mentre la Francia vede ora, forse, l’Italia di Meloni rafforzata nel suo ruolo di “portavoce interno” di Washington ai tavoli Ue.
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