È presto per fare un commento approfondito sui funerali di Aleksej Navalny. Circa duemila coraggiosi hanno sfidato il regime partecipandovi. Eppure c’è chi dice che erano pochi, pochissimi rispetto ai milioni di abitanti di Mosca, per non parlare di quelli di tutta la Russia.

Comunque la loro presenza è stata importante, non tanto per come sono apparsi ai nostri organi di informazione occidentale, quanto per l’intero popolo russo: sia per chi è d’accordo col potere, sia per chi vuole farsi i fatti propri, sia per le migliaia di giovani che sono fuggiti all’estero per non essere mobilitati. Anche per tutti quelli che sono caduti in Ucraina e per le loro famiglie. D’altra parte mi sembra importante sottolineare, come ha scritto un amico da tanti anni in Russia, che non è questo il momento di alimentare un odio ingiusto verso il popolo russo. Molti lo accusano di essere connivente con il potere. Di sostenere il potere o di non reagire contro di esso quando non si è d’accordo. Ma anche quando c’era il fascismo molti stranieri rivolgevano le stesse accuse agli italiani. Anche allora alcuni approvavano il fascismo, alcuni fuggivano all’estero, pochi restavano in patria per combatterlo più o meno apertamente. C’erano però molti che, innanzitutto, cercavano di vivere “normalmente” negli spazi di libertà che in qualche modo ancora esistevano. Mio nonno, uomo di teatro, non di Chiesa, mandò sua figlia, cioè mia madre, dalle Marcelline, scrivendo in cucina, in modo che il messaggio arrivasse anche ai posteri, cioè a me e ai miei fratelli, questa frase: “Piuttost dai monick che dai fascista” (in milanese).



Oggi in Russia chi si sforza di vivere per quanto possibile una vita “normale”, senza magari poter manifestare apertamente il suo dissenso, va rispettato. È ingiusto creare una cortina d’odio verso i russi. Del resto un certo Gesù ci ha detto addirittura di amare, non di stimare, i nostri nemici. Amare non significa approvare il male che fanno quelli che fanno il male.



Nel caso della Russia, in più bisogna tener conto dei decenni di regime comunista che hanno quasi distrutto la migliore tradizione spirituale del popolo. Certo se da noi, anche da noi, si insegna ad odiare, come in certe manifestazioni segnate dall’antisemitismo, sarà poi difficile preoccuparsi seriamente del tragico destino del popolo palestinese in balia del regime di Hamas e ora della tremenda repressione dell’esercito israeliano. Amare i nemici, pregare per quelli che ti perseguitano è quello che anche oggi, nel silenzio generale, ci stanno insegnando tanti nostri fratelli martirizzati, ad esempio in Africa.



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