Finalmente è stato consegnato il cadavere di Navalny a sua madre. Viene spiegato che neanche Putin, orgoglioso difensore della tradizione russa, poteva sottrarsi alla norma della Chiesa russa ortodossa secondo la quale il corpo di un morto dev’essere consegnato ai suoi cari perché siano celebrati i pominki in onore del defunto. Infatti, sempre secondo questa tradizione, questo va fatto entro nove giorni, cioè quando l’anima si presenta davanti a Dio.
Non sappiamo in che condizioni il cadavere sia stato consegnato, se sia stato o sarà possibile fare una normale autopsia. Sappiamo comunque che se Putin avesse infranto questa regola, nonostante il suo “strapotere”, sarebbe stato difficile convincere almeno una parte della società russa della sua presupposta “buona fede”. Ora la questione si sposta sul come e dove Navalny sarà sepolto, perché la sua tomba potrebbe, ovviamente, diventare un luogo della memoria per chi era dalla sua parte o anche per chi semplicemente ha ammirato il suo coraggio.
Dico subito che questa vicenda potrebbe aggiungere un nuovo capitolo all’interessante saggio di Gian Piero Piretto L’ultimo spettacolo. I funerali sovietici che hanno fatto storia che si fermava alla morte di Prigozhin. Tutto quanto è accaduto, e ancora sta accadendo, mi ha fatto ricordare quanto il compianto professor Canesi ci insegnava al Parini negli anni Sessanta. Ovvero la storia di molti eroi insepolti di cui parla ampiamente la letteratura dell’antica Grecia. Dal cadavere di Ettore a quello del fratello richiesto a costo della sua stessa vita da Antigone. In particolare, la vicenda di Navalny mi ha ricordato la tragedia di Euripide Le supplici, scritta attorno al 400 a.C. Qui si narra della storia di un gruppo di donne di Argo che vengono a richiedere i corpi dei loro figli morti nell’assalto a Tebe per liberare la città dal Tiranno. La tragedia fu composta al tempo della rivalità tra Sparta e Atene, che sconfitta dagli Spartani nella battaglia di Delio, voleva rivendicare il primato della democrazia ateniese sull’autoritarismo del regime spartano.
Euripide, ateniese e contrario alla guerra come metodo di dirimere le questioni, in modo speciale in un dialogo tra Teseo e l’Araldo venuto da Tebe fa un confronto tra i due regimi. Teseo corregge l’Araldo, che ad Atene cerca un re con cui trattare, dicendo: “qui non comanda uno solo: libera è la città. Comanda il popolo, con i suoi deputati, a turno eletti anno per anno. E privilegio alcuno non hanno i ricchi: ugual diritto ha il povero”.
A questo punto Euripide ci presenta la risposta dell’Araldo, attraverso la quale appare che l’autore della tragedia, pur sostenitore della sua democrazia ateniese, è allo stesso tempo consapevole dei suoi limiti e delle possibili imperfezioni.
Nella sua risposta, che invito a leggere sul testo della tragedia, l’Araldo, dopo aver espresso dubbi sulle capacità di decidere in politica da parte di tutti coloro che formano il popolo, esprime il timore che attraverso la democrazia il potere vada in mano a qualcuno che, in forza di questo, persegua il proprio interesse a discapito della parte che lo ha sostenuto. Inoltre l’Araldo parla del pericolo che un continuo conflitto tra le parti generi un clima di guerra civile.
A noi democratici a volte converrebbe rileggere certe opere del passato che forse oggi non vengono neanche proposte a tanti studenti.
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