La notizia della morte del capo dell’opposizione russa Aleksej Navalny in una lontana prigione artica ha scioccato gli analisti. Navalny, che per anni era stato il più audace sfidante del presidente Vladimir Putin e del suo sistema di corruzione, stava scontando una pena a 19 anni di carcere per estremismo. Con ogni probabilità, non sarebbe mai uscito vivo con Putin al comando. Ma sembra che nemmeno questo fosse abbastanza per il Cremlino. Secondo quanto riferito dall’amministrazione penitenziaria russa, Navalny si sarebbe accasciato dopo una breve camminata nel cortile del carcere, avrebbe perso i sensi e sarebbe deceduto poco dopo.



I dettagli devono ancora essere chiariti, ma in una conferenza stampa tenuta il 16 febbraio il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha espresso un’opinione condivisa da molti osservatori, in Russia e nel resto del mondo: “Il colpevole è Putin”. Per quanto cinica e crudele, la scelta di Putin di eliminare Navalny non dovrebbe stupire. Per il leader russo farlo tacere definitivamente aveva perfettamente senso, anche se i portavoce del Cremlino hanno cercato di smentirlo. Dopotutto Navalny era un esperto nell’uso dei social ed era spesso riuscito a battere Putin sul suo stesso terreno mediatico, esponendo gli illeciti e le malefatte del regime e facendoli conoscere a milioni di persone attraverso Youtube e altre piattaforme online. In questo modo era riuscito a sfuggire agli sforzi del Cremlino per censurarlo. Nel dicembre 2020, con una telefonata in cui si fingeva un dirigente dei servizi segreti, aveva addirittura ottenuto una confessione dagli uomini ingaggiati pochi mesi prima dal governo per ucciderlo, avvelenandolo durante un volo tra la città di Tomsk, in Siberia, e Mosca. Ancora più pericolosa per il regime era l’eccezionale popolarità di Navalny.



Oltre le città

A differenza di tutte le personalità dell’opposizione attive negli ultimi vent’anni, Navalnyj era stato in grado di crearsi un seguito che andava ben oltre le élites urbane della Russia. Aveva raggiunto persone provenienti da ogni angolo del Paese, e sostenitori fedeli tanto in patria quanto all’estero. Ed era riuscito a coinvolgere nella politica anche i giovani, che altrimenti ne sarebbero rimasti del tutto esclusi. Per la società russa, confusa, depressa e alla mercé di un regime sempre più repressivo, Navalny è stato l’unico leader aggregatore. Ed è rimasto tale fino alla morte, nonostante tutte le severe misure d’isolamento a cui era stato sottoposto dal momento del suo arresto in Russia nel gennaio 2021, dove era tornato dopo le cure in Germania per l’avvelenamento dell’anno precedente.



La scomparsa di Navalny segna una nuova fase nella spietata ricerca del potere di Putin. Ma presenta anche una sfida difficile per l’opposizione russa, che ora deve capire come mantenere l’unità che Navalny aveva creato e come prendere il controllo del movimento che lui si è lasciato alle spalle. Tra le metropoli e la provincia Navalny non era certo un profeta, ma negli ultimi dieci anni, insieme a un folto gruppo di sostenitori, era riuscito a trovare il modo per superare quegli ostacoli politici che l’opposizione liberale russa aveva a lungo trovato insormontabili. Dagli anni Novanta in poi i liberali russi sembravano condannati a trovare un pubblico pronto ad appoggiare le loro proposte democratiche esclusivamente nelle città più grandi, come Mosca e San Pietroburgo. Solo in quei contesti urbani c’erano persone con una mentalità aperta, interessate alla costruzione di istituzioni liberali e di uno stato di diritto. Il resto del Paese non capiva in cosa consistesse la democrazia.

La vera Russia

Come praticamente ogni autocrate russo, dagli zar a Stalin, Putin ha alimentato questa spaccatura. Nell’immagine promossa dal Cremlino, “la vera Russia”, cioè il Paese al di là delle grandi città, non capiva le libertà occidentali: per questi cittadini liberalismo significava anarchia, cosa che rendeva sempre troppo prematura la concessione di diritti politici di stampo occidentale. I liberali russi erano slegati dal loro stesso Paese, diceva il regime. Questa narrazione ufficiale, unita allo scarso seguito dei riformatori liberali, è stata usata per dimostrare che i russi non erano pronti per la democrazia. Così è nata la strategia di Putin della “democrazia controllata”: solo un uomo forte che capisce il Paese può attuare le riforme necessarie. Per certi versi l’esperienza della Russia, dagli ultimi anni del regime sovietico fino agli anni Dieci del nuovo millennio, sembrerebbe confermare la versione del Cremlino. Per esempio, anche durante la perestrojka, negli anni Ottanta, il movimento democratico era in gran parte concentrato nelle grandi città. E quando alla fine l’Unione Sovietica crollò, un solo partito democratico – Jabloko – riuscì a costruirsi una rete più ampia, capace di coprire diverse regioni del Paese. Ma neanche Jabloko superò mai il 20% dei consensi conquistati nel 1990, al suo apice politico. Dopo che Putin salì al potere, quasi 25 anni fa, l’attività delle forze democratiche nella provincia russa cominciò rapidamente a calare, quasi a fornire un’ulteriore conferma che i democratici russi erano isolati nelle grandi città e distanti dai bisogni e dagli interessi del resto della popolazione. Navalny è stata la prima figura dell’opposizione capace di demolire questa narrazione.

L’arma dei social

Mettendo insieme la sua bravura con i social network, innate doti di comunicatore, un’acuta sensibilità per i problemi che i russi hanno più a cuore e la sua abilità di avvocato nel portare alla luce prove precise e circostanziate, Navalnyj ha saputo attaccare il regime di Putin in modi impensabili per i democratici più convenzionali. Pensiamo alla reazione provocata dal documentario diffuso su Youtube nel 2017, On vam ne Dimon (Non chiamatelo Dimon), che illustrava in dettaglio la corruzione del primo ministro russo Dmitrij Medvedev, tra i più stretti collaboratori di Putin. Il film, diventato presto virale, aveva aiutato Navalny a organizzare proteste in circa cento tra città e Paesi in tutta la Russia. Fino a oggi ha collezionato 46 milioni di visualizzazioni.

Questa rete di sostenitori, che nessun rappresentante dell’opposizione aveva mai avuto a disposizione, aveva permesso a Navalny di dimostrare di non essere, come voleva far credere il Cremlino, l’ennesimo liberale chiuso nella sua torre d’avorio moscovita a meditare riforme irrealistiche. Tuttavia, la forza del dissidente aveva superato di gran lunga il suo messaggio. Fino al 2015, l’anno successivo all’annessione della Crimea alla Russia, si credeva che la propaganda di Putin avesse ampiamente conquistato i giovani, che non potevano ricordare le effimere e tumultuose riforme democratiche degli anni Novanta e non avevano mai davvero conosciuto la democrazia. Grazie ad anni d’indottrinamento e regole stabilite dall’alto, c’era la convinzione che Putin avesse tenuto la nuova generazione fuori dalla politica. L’idea più o meno era questa: lasciate la politica a noi professionisti e potrete godervi i benefici portati dall’alto prezzo del petrolio, i lussi occidentali e un miglior tenore.

I giovani e la FBK

La Fondazione anticorruzione (FBK) di Navalny ha scardinato anche questo mito: i ragazzi e le ragazze si sono uniti alle sue proteste e sono diventati una delle forze trainanti del movimento. Nel 2017 la foto di un agente di polizia che cerca di tirare giù due ragazzini da un lampione in piazza Puskin, nel centro di Mosca, è diventata un simbolo in tutto il Paese. Navalny non solo ha costruito una rete di sostenitori in tutta la Russia, ma ha anche affascinato i giovani russi come il Cremlino non è mai riuscito a fare, rappresentando quindi una reale minaccia per la continuità del regime. E tutto ciò è stato ottenuto nonostante la repressione sempre più serrata.

Ma forse l’elemento cruciale nella capacità di Navalny di catalizzare l’attenzione dell’opinione pubblica sono stati i social network, che la sua organizzazione ha continuato a usare anche dopo l’arresto dell’oppositore. Il team di Navalny ha dimostrato di essere sorprendentemente abile nel superare, volta dopo volta, le nuove sfide tecnologiche che deve fronteggiare chi fa politica nella Russia di Putin. L’inarrestabile presenza di Navalnyj sui social è diventata particolarmente importante dopo l’invasione russa dell’Ucraina, quando il Cremlino ha preso provvedimenti per mettere a tacere o costringere all’esilio tutte le forze d’opposizione. Il gran numero di arresti appena dopo l’inizio della guerra ha messo in chiaro che in Russia sarebbe stata impossibile qualsiasi contestazione. Eppure i giornalisti russi hanno continuato a parlare ai loro connazionali dall’esilio, nonostante la censura online. E con sorprendente successo: milioni di russi hanno continuato ad affidarsi ai giornalisti fuggiti all’estero per avere informazioni precise sugli sviluppi della guerra in Ucraina o su sconvolgimenti interni come la rivolta del capo della milizia privata Wagner Evgenij Prigozhin nel giugno 2023. Alla base di questo spostamento del pubblico verso il giornalismo online c’è l’approccio alla rete perfezionato da Navalny nel decennio precedente. Allo scoppio della guerra gli attivisti dell’opposizione in esilio hanno scoperto e adottato molte delle strategie messe a punto dall’organizzazione di Navalny.

Youtube e Telegram

Ben presto tutti i gruppi di opposizione si sono spostati su Youtube e Telegram, seguendo quanto aveva fatto il team di Navalny, per esempio quando il dissidente era stato ricoverato in Germania dopo l’avvelenamento del 2020. Queste piattaforme sono presto diventate la vera casa dell’opposizione a Putin, fornendo ai russi del Paese come della diaspora i commenti, le inchieste e le notizie quotidiane ormai completamente irreperibili sui mezzi d’informazione ufficiali. Perfino dopo il suo arresto, il nome di Navalny ha continuato a essere al centro del programma dell’opposizione: non solo perché la sua figura era la più riconoscibile, ma anche per il sostegno compatto che aveva, sia nel paese sia fuori. In realtà molti dei suoi sostenitori non avevano condiviso la sua decisione di tornare in Russia nel 2021, consapevoli che sarebbe subito finito in prigione. Avevano bisogno di un leader da ascoltare e preferivano che Navalny rimanesse libero. Anche dal carcere, tuttavia, Navalny aveva trovato il modo per comunicare con i suoi militanti, facendo di certo innervosire ulteriormente il Cremlino.

In un certo senso la sua morte segna il culmine degli sforzi dello Stato russo, durati anni, per eliminare ogni briciolo di opposizione. Per più di vent’anni Putin ha dato all’assassinio politico un posto tra gli attrezzi del mestiere del Cremlino. E lo ha usato contro seccatori come la giornalista Anna Politkovskaja e ficcanaso come l’ex agente dei servizi segreti e poi dissidente Aleksandr Litvinenko. E contro i suoi avversari politici Boris Nemtsov, ucciso a colpi di pistola nel 2015, e Vladimir Kara-Murza, avvelenato per due volte e attualmente in carcere. Navalny, sopravvissuto a diversi tentativi di omicidio, era un obiettivo ancora più importante.

Anche dopo tutto quello che è successo, è improbabile che le forze scatenate da Navalny si disperdano. La sua morte è un colpo terribile per i russi che si oppongono a Putin. E, per quanto sia urgente e necessario per avere voce in capitolo in un futuro post putiniano, sarà difficile trovare una figura capace di unire le opposizioni come aveva fatto lui. Ma Navalny ha lasciato in eredità alla Russia la sua organizzazione e i suoi militanti.

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