Putin pensava di ottenere una vittoria politica al vertice dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (Sco – nuova sigla da rammentare) a Samaracanda di giovedì e venerdì scorsi, il primo dall’inizio della guerra in Ucraina. Ha avuto un incontro con il leader cinese Xi Jinping, il quale ha ribadito «eterna fraterna amicizia tra i due popoli», ma nessun impegno preciso. Al contrario, il primo ministro indiano, Narendra Modi, ha criticato pubblicamente l’invasione russa dell’Ucraina, dicendo a Putin che «l’era di oggi non è un’era di guerra». Putin ha risposto di aver compreso le preoccupazioni di Modi. Nel frattempo il Presidente cinese ha affermato che la Russia e i suoi vicini dell’Asia centrale dovrebbero fare attenzione a evitare interferenze straniere o «rivoluzioni colorate».
Ma cosa è la Sco? Il raggruppamento è stato fondato nel 2001 dalla Cina e, originariamente, raggruppava cinque Paesi. Si tratta della prima organizzazione internazionale fondata da Pechino, con lo scopo di dare una demarcazione più precisa ai porosi e incerti confini tra la Repubblica popolare e i suoi vicini centro-asiatici: Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e, ovviamente, Russia.
In una prima fase, non entrava particolarmente in conflitto con l’egemonia statunitense emersa dall’implosione dell’Unione sovietica. D’altronde, i rapporti tra Washington e Pechino, nell’era dei rispettivi presidenti George W. Bush e Hu Jintao, erano in evoluzione positiva. Tuttavia, col tempo, la situazione geopolitica è mutata e si è trasformata in una concorrenza tra potenze. Così la Sco, che riunisce nel suo seno due delle grandi potenze – Cina e Russia – ha assunto una maggiore rilevanza e ha deciso di espandersi a Paesi come l’India e l’Iran.
Oggi la Sco riunisce nazioni che rappresentano il 44% della popolazione globale e il 24% del Pil del mondo. A Samarcanda dovrebbe arrivare a meta l’adesione del già citato Iran, oltre che l’ottenimento dello status di partner di dialogo dell’Arabia Saudita. Verranno inoltre nominati nuovi membri “osservatori”.
Al momento i membri a pieno titolo, oltre ai cinque originari e ai padroni di casa odierni dell’Uzbekistan, sono il Pakistan e l’India (divisi da fiera rivalità), mentre gli “osservatori” sono Afghanistan, Mongolia, Bielorussia e Iran (che diventerà Stato membro in questo summit). I cosiddetti “partner di dialogo” sono Sri Lanka, Turchia, Cambogia, Nepal, Azerbaigian e Armenia (questi ultimi due in perenne conflitto per il Nagorno Karabakh e proprio negli ultimi giorni ai ferri corti). Dovrebbero entrare in quest’ultima lista anche Egitto e Qatar. Per il futuro sono candidati a questo status anche Bahrein e Maldive.
Questa piattaforma, in rapida espansione, include insomma player cruciali in settori chiave come quello dell’energia, oltre a rappresentare un campo di confronto per la partita cruciale di chi controlla l’Asia centrale, un tempo territorio di caccia esclusivamente russo, ma oggi conteso dalla potenza ascendente cinese. Per cui, la partnership “senza limiti” annunciata da Xi nel suo ultimo vertice con Putin, il 24 febbraio scorso, in realtà rischia di trovare un limite proprio in questa regione dove gli interessi delle potenze oggi apparentemente convergenti potrebbero divergere.
D’altronde ne sono consapevoli anche gli Stati Uniti, che qualche anno fa valutarono di diventare osservatori, poi rinunciando. Oggi la direttrice secondo la quale si muove la Sco appare essere l’ampia Dichiarazione di Dushanbe, prodotto del summit dello scorso anno, che di fatto delinea una guida dell’ordine mondiale non incentrata esclusivamente sull’Occidente. E nel recente Forum di Boao, lo stesso Xi ha richiamato questo documento.La riunione di Samaracanda avrebbe dovuto essere, almeno nella visione di alcuni leader, una versione attuale del vertice di Bandung del lontano 1955.
La conferenza afroasiatica di Bandung fu convocata su iniziativa di India, Pakistan, Birmania, Ceylon, Repubblica popolare cinese e Indonesia (vi parteciparono in tutto 29 Paesi) allo scopo di cercare una coesione fondata sui caratteri comuni di povertà e “arretratezza” e di riunire tutti i Paesi contrari alla colonizzazione. Nella dichiarazione finale si proclamò l’eguaglianza tra tutte le nazioni, il sostegno ai movimenti impegnati nella lotta al colonialismo, il rifiuto delle alleanze militari egemonizzate dalle superpotenze e alcuni principi fondamentali di cooperazione politica internazionale fra i Paesi aderenti.
La conferenza segnò l’affermazione del Terzo mondo e del movimento dei non allineati sulla scena mondiale. Il termine “Terzo mondo” fu utilizzato per la prima volta dal giornalista francese Alfred Sauvy, senza una connotazione denigratoria, ma riprendendo il dibattito della Rivoluzione francese sul “Terzo Stato”.
Il ruolo di Zhou Enlai nella conferenza fu rilevante, poiché la Cina dettò l’agenda di questi incontri; introdusse e rafforzò l’idea di neutralismo come principio ispiratore di questo movimento, e insistette perché il dibattito della conferenza non fosse subordinato a prospettive ideologiche. Furono definiti obiettivi prioritari la dissoluzione del colonialismo e la tutela della pace. Altro attore importante fu Nehru, che con Zhou Enlai ebbe un ruolo guida, sottolineando la necessità di adottare il pacifismo come principio fondante nelle relazioni tra Stati. La conferenza di Bandung terminò con un documento in dieci punti, poi divenuto la base per varare il Non Allineamento, che si chiamò “Dichiarazione per la promozione della pace nel mondo e la cooperazione”.
Erano quelli gli anni delle speranze dell’America Latina (la vittoria di Fidel Castro) e dell’Africa (l’Algeria indipendente dai francesi), e i paesi del Terzo mondo guardavano alla Cina, che in quei mesi iniziava a staccarsi duramente dalle posizioni sovietiche, come all’esempio concreto che si poteva, si doveva tentare una via alternativa alla divisione e allo sviluppo del mondo.
Sotto il profilo politico e geopolitico lo “spirito di Bandung” ebbe breve durata. Fu però la base per il “gruppo dei 77” alle Nazioni Unite, l’istituzione dell’IDA (International Development Association) nell’ambito del gruppo della Banca Mondiale (l’agenzia del gruppo Banca Mondiale che fa prestiti a 50 anni senza interessi), della riforma delle regole del commercio mondiale per favorire i Paesi in via di sviluppo.
Si può pensare a prospettive analoghe per la Sco? Difficile pensarlo dopo questo vertice. La Cina proclama «fraterna amicizia» alla Russia e ne vuole il supporto politico (non militare: l’invasione dell’Ucraina ha mostrato a tutto tondo i limiti) a un’eventuale aggressione a Taiwan. Gareggerà poi con la Federazione Russa per influenza sulle Repubbliche dell’Asia centrale. Vorrà acquistare gas russo al prezzo più basso ma senza fratture con l’Occidente da cui importa tecnologia (e la copia).
Nel gruppo ci sono Paesi in guerra aperta tra loro. Altri guardano in cagnesco da sempre per motivi etnici e religiosi.
Vedo tempi duri per la Sco. Putin, che voleva utilizzarlo come piattaforma propagandistica, tornato nel suo bunker al Cremlino deve averlo compreso.
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