La vergognosa morte di Satnam Singh, lavoratore agricolo di origini indiane, abbandonato al suo destino dopo aver perso un braccio sul lavoro, anziché essere aiutato e affidato al pronto soccorso più vicino, ha scosso l’opinione pubblica e alzato il velo ipocrita che copre una parte della nostra agricoltura dove a dettare le regole sono i caporali, lo sfruttamento, la criminalità, la concorrenza sleale giocata al ribasso sulla pelle degli ultimi. Servirà ovviamente fare luce sull’accaduto e accertare tutte le responsabilità, perché chi ha sbagliato paghi e perché non si ripetano più simili gesti sciagurati. Ma già alcune cose inquietanti sono emerse, come il fatto che l’azienda in cui lavorava il giovane Satnam era indagata per caporalato da cinque anni e che nonostante questo ha usufruito di oltre 840 mila euro di fondi pubblici negli ultimi anni.
Va detto che nel Pontino purtroppo, così come altri territori d’Italia, ne abbiamo viste di tutti i colori: dai lavoratori presi a fucilate se fanno una pausa anche solo per bere acqua, a quelli obbligati a chiamare “padrone” il proprio datore di lavoro, dalle lavoratrici ricattate anche sessualmente ai lavoratori minacciati di morte se si rivolgono al sindacato, dunque questa ennesima vicenda di sfruttamento disumano non è che la conferma di quanto denunciamo da anni.
Satnam è l’ennesima vittima di un sistema razzista e disumano, in cui la parola lavoro non dovrebbe neanche essere usata, semplicemente perché il lavoro è un’altra cosa. Allora vale la pena ricordarlo: Satnam non è morto per un incidente sul lavoro, è stato ucciso dalla brutalità di un sistema marcio, che umilia le persone, le loro famiglie e le stesse imprese sane che applicano i contratti e operano nella legalità.
Però attenzione, perché il dolore e la rabbia ora devono trasformarsi in qualcos’altro, devono diventare proposta, devono diventare partecipazione, solidarietà, azione. Non ci sono più alibi, non siamo più disposti a piangere sulle vittime, ad assistere a una politica lenta, burocratica, cieca, mentre la criminalità invece corre, e ci vede benissimo.
Ecco perché venerdì scorso, quando siamo stati ricevuti dalla ministra del Lavoro Calderone e dal ministro dell’Agricoltura Lollobrigida, che hanno accolto la richiesta unitaria dei sindacati di categoria a un immediato confronto sull’accaduto, abbiamo ribadito questo concetto: le istituzioni, le parti sociali, gli enti bilaterali, devono togliere dalle mani dei caporali la possibilità di offrire servizi alle imprese. Questo è il primo passo da compiere sia per prevenire che per curare. Trasporti verso i campi e le serre, corsi di formazione linguistica, corsi sulla salute e la sicurezza, alloggi ai braccianti, chiamate di lavoro, tutto questo deve passare per i canali della legalità ed essere tolto dalle mani degli sfruttatori.
Perché l’Italia sarà pure un grande Paese, ci piace crederlo, però siamo anche un popolo strano, con un Parlamento che vorrebbe schierare l’Esercito contro i cinghiali, ma poi lascia interi territori allo sbando, alla criminalità, all’economia sommersa, facendo finta di non sapere cosa accade in certi ghetti, cosa accade in certe imprese, cosa c’è dietro il cibo che arriva ogni giorno sulle nostre tavole e in quelle mezzo mondo. E questo non è più tollerabile.
Ecco perché alla manifestazione di Latina, dove abbiamo partecipato assieme alla comunità indiana locale, con quasi 5mila lavoratori e lavoratrici, abbiamo richiesto con forza un cambiamento. Partendo dalla constatazione che non tutto è da buttare via. Va detto, ad esempio, che anche nel territorio pontino abbiamo fatto negli ultimi anni tante iniziative, incontri bellissimi, con la comunità indiana e tante altre comunità. Abbiamo assistito tanti lavoratori, di tutte le nazionalità, con i nostri camper chiamati “Tutele in movimento”. Abbiamo fatto anche corsi di lingua italiana, perché apprendere la lingua è per tutti il primo passo verso l’emancipazione, verso l’indipendenza, verso la dignità.
Però attenzione, perché questo non basta. Accanto a chi è in prima linea, serve il sostegno delle istituzioni, delle leggi, delle forze dell’ordine. Ora dobbiamo pretendere quindi delle risposte strutturali, perché non siamo più disposti a stare nel Paese dei Gattopardi, dove bisogna cambiare tutto perché nulla cambi.
Dobbiamo cambiare le cose perché, se non lo facciamo, domani ci sarà un altro Satnam, ci sarà un altro finto imprenditore che paga 6 ore e ne fa lavorare 12, un’altra finta impresa che pensa di farla franca perché tanto gli ispettori sono pochi. A Latina, quindi, così come su tutti i tavoli istituzionali, abbiamo chiesto un cronoprogramma concreto, un calendario per fare alcune cose con tempi certi: superiamo i Decreti flussi, favoriamo l’emersione degli immigrati che vogliono lavorare, ma si ritrovano come fantasmi, superiamo la Legge Bossi Fini, restringiamo le norme a favore delle cooperative senza terra, introduciamo la decontribuzione per le imprese della Rete del lavoro di qualità, coinvolgiamo gli enti bilaterali nel reperimento della manodopera, utilizziamo tutte le tecnologie che le forze dell’ordine già sanno usare per incrociare i dati, oramai anche in tempo reale. E poi, soprattutto: rendicontiamo i soldi del Pnrr stanziati per i braccianti. Da mesi, infatti, stiamo chiedendo dove sono i 200 milioni programmati per superare i ghetti. A Latina, ad esempio, spettano quasi 4 milioni e 400 mila euro: dove sono? Come verranno spesi? Con quali tempi? Noi a tutto questo dobbiamo avere risposte.
Sapendo anche che tante risposte non le aspetteremo dall’alto: dobbiamo costruirle insieme alle comunità e tutti i lavoratori, ricordando che la lotta al caporalato non si fa con le iniziative spot, non si fa con gli slogan, ma si fa ogni giorno, nei luoghi di lavoro, nelle famiglie, nella scelta dei consumi alimentari, nelle azioni che ciascuno di noi mette in campo, e anche nelle scuole, dove ci sono gli imprenditori e i lavoratori di domani.
Facciamo nostre dunque le parole del Presidente Mattarella, che è stato molto esplicito su questo: “Lo sfruttamento dei più deboli e indifesi, con modalità illegali e crudeli, è un fenomeno che va contrastato ovunque, eliminato totalmente e sanzionato, evitando di fornire l’erronea e inaccettabile impressione che venga tollerato ignorandolo”. Dunque muoviamoci insieme, restiamo uniti, e partecipiamo ogni giorno per costruire un’agricoltura sana e un lavoro dignitoso.
L’annuncio da parte della presidente del Consiglio Giorgia Meloni di nuove misure contro il caporalato è positivo perché risponde in parte a quanto chiediamo da tempo e abbiamo ribadito anche dopo i gravi fatti di Latina, come rafforzare la rete del lavoro agricolo di qualità dell’Inps con maggiore coinvolgimento delle parti sociali, anticipare le assunzioni di Inps e Inail, migliorare l’incrocio delle banche dati. Sono tre punti fondamentali tra quelli che proponiamo per migliorare gli strumenti preventivi e repressivi. Ora, però, è importante che quanto annunciato non sia uno spot, ma si traduca in un concreto cambiamento per la legalità e il lavoro agricolo dignitoso.
Lo dobbiamo a Satnam, lo dobbiamo a tutte le vittime dello sfruttamento, e lo dobbiamo ai nostri figli, a chi verrà domani, perché possano vivere in un Paese migliore di come noi l’abbiamo trovato.
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