Il Pnrr ha evidenziato quanto siano non più procrastinabili le riforme nel nostro Paese tra cui spiccano quella del sistema fiscale ivi compresa la riforma della giustizia tributaria. Il contenzioso tributario è senza dubbio la componente più significativa dell’arretrato giacente dinanzi alla Corte di Cassazione tanto da sollecitare un provvedimento deflattivo delle liti pendenti richiesto, peraltro, anche in ordine al magazzino dei debiti tributari. 



Nel 2020 il tasso di annullamento delle decisioni d’appello è stato del 47% salito al 57% nel 2021. Questi dati impongono considerazioni riferite alla qualità del giudizio, ma anche alla qualità degli accertamenti proposti dagli enti impositori spesso portati a “legiferare” più che a seguire il percorso voluto dal legislatore senza, comunque, tralasciare la qualità della difesa del contribuente. Alla luce dei numeri e della loro lettura appare evidente che gli interventi necessari in tema fiscale dovrebbero garantire certezza delle regole e qualità delle decisioni di merito affinché il pagamento delle tasse non diventi un esercizio pericoloso. 



Le scelte da fare non possono essere limitate al rafforzamento degli organici, ma devono investire la professionalità degli attori chiamati a giudicare e di quelli chiamati a proporre le attività accertative. L’obiettivo deve essere unico prevenire la formazione di attività accertative e di decisioni mutevoli o contrastanti in materia tributaria visto il grande rilievo economico delle stesse e l’impatto devastante che hanno sulle aziende e sui cittadini per il ritardo con il quale alle stesse si pone rimedio. 

Tutte queste considerazioni ci hanno spinto a prendere la decisione, malgrado un granitico orientamento contrario, sul se e sul come impugnare gli accertamenti Imu che poi hanno indotto la Commissione tributaria provinciale (Ctp) di Napoli a “sollecitare” l’intervento della Corte Costituzionale assunta con l’ordinanza 94 del 23/03/2022. L’ordinanza di fatto ha accolto le doglianze proposte in sede di ricorso che mettevano in evidenza la palese violazione del concetto di abitazione principale che si andava affermando non solo a Napoli ma in numerose città di Italia, spesso per sole ragioni di cassa. 



A pagarne dazio era in primis il nucleo familiare con palese violazione della Costituzione in tema di capacità contributiva, di uguaglianza, di famiglia quale società naturale ex art. 20 della Costituzione e così via. 

La controversia nasceva da un contrastante orientamento che si era formato nel tempo che ha visto la Cassazione su posizioni diverse rispetto all’Amministrazione Finanziaria. È bene chiarire che le decisioni della Cassazione trovavano fondamento nella lettera della norma. Il contrasto formatosi aveva portato a diverse pronunce che escludevano l’esenzione Imu sull’abitazione principale per il solo fatto che uno dei componenti della famiglia risiedesse in altro Comune. In particolare, veniva fissato che laddove la dimora abituale dei componenti una famiglia non sia fissata per l’intero nucleo familiare in unico immobile non si realizzasse il presupposto dell’abitazione principale per tutti e, dunque, non spettasse l’esenzione dall’Imu per nessuno. 

La Corte Costituzionale ha ritenuto valide le osservazioni della Ctp di Napoli che nell’esaminare il ricorso proposto, valutatene le ragioni, ha sollevato la questione di legittimità della norma e dell’interpretazione che veniva data della stessa che stava creando disparità tra i cittadini e più in particolare del nucleo familiare legato dal vincolo del matrimonio e delle unioni civili rispetto, ad esempio, alle coppie di fatto. In sostanza, dunque, la Corte Costituzionale andando oltre la remissione proposta dalla Ctp di Napoli, ha pienamente dato lustro alla sua funzione andando a rimuovere una palese violazione della Costituzione in ordine al principio della uguaglianza dei cittadini. 

La decisione della Corte rafforza la necessità di avviare una riflessione anche su altri temi che coinvolgono il rapporto tra cittadino/imprese, da un lato, e il fisco, nella sua accezione più ampia, dall’altro. La pandemia ha reso evidente l’esigenza che si avvii una concreta armonizzazione del nostro sistema fiscale, che a causa di interventi spesso sconnessi e proposti solo per ragioni di bilancio hanno stravolto l’impianto tributario voluto dalla riforma degli anni ’70 comunque datato. Al momento la riforma fiscale pare limitata alla sola revisione della curva Irpef e del catasto. Quella che, invece, dovrà attuarsi, attraverso interventi più radicali, deve disegnare il futuro del nostro Paese che non cresce in termini di produttività, in termini di popolazione visto il calo delle natalità e che ha profonde iniquità. Per poterlo fare occorre aver ben presente che i valori da considerare non sono solo quelli assoluti del reddito, ma anche altri. Bisogna affrontare il vero tema dell’equità, il ruolo delle famiglie, dei giovani e delle imprese. 

La riforma per poter seguire una strada coerente deve aver ben presente l’attuale sistema alla luce di com’è organizzata la società e deve essere capace di raccogliere le istanze delle imprese spesso costrette ad affrontare interpretazioni che non trovano alcun soccorso nella legge. È attuale l’intervento di revoca dei crediti R&S spesso motivato solo perché non adeguatamente commentato in Nota integrativa, ma gli esempi potrebbero essere molti: si pensi alla definizione di Gruppo societario, realtà sempre più diffusa nel sistema economico, interpretata diversamente ai fini Iva e ai fini delle imposte sui redditi delle società. 

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