Due magistrati schierati su posizioni opposte, ossia il Gip che ha negato gli arresti per il magistrato Laudati e il finanziere Striano, e il procuratore di Perugia Raffaele Cantone che ha presentato appello contro tale decisione,  hanno riportato d’attualità lo scandalo dei dossieraggi sui politici, in prevalenza di centrodestra, con la Lega bersagliata dagli spioni più degli altri partiti. Dopo un iniziale polverone, il caso si era sopito, ma è bastata la decisione del Gip per riportarlo sulle prime pagine dei giornali.



E tuttavia non ci sono grandi rilevazioni rispetto ai mesi scorsi, per ora. Il motivo è dovuto a come viene gestito il materiale documentale depositato dalla procura di Perugia presso la Direzione nazionale antimafia (Dna). La montagna di carte è sottoposta a un regime particolare: formalmente è secretata, però è visionabile dai politici che ne fanno richiesta a patto che non venga portato nulla all’esterno. Il che si traduce in un lento stillicidio di micro-rivelazioni trasmesse dai parlamentari ai giornalisti “amici”, difficili da contestualizzare, vista l’ampiezza della documentazione e l’obiettiva complessità a maneggiarla.



Al momento la nebbia sui dossieraggi resta fitta, anche se qualche indizio può aiutare ad orientarsi. La vicenda esplode nelle settimane chiave in cui si gioca la partita per rinnovare i vertici dei servizi segreti (tra febbraio e marzo scorso). Il Governo Meloni apre il dossier nei primi mesi del 2023, ma deve dare un colpo di freno la primavera scorsa, quando l’attività di dossieraggio a danno di numerosi esponenti politici diventa di pubblico dominio. Ma si sa benissimo nei palazzi del potere che il dossier servizi è ancora aperto. È solo una coincidenza che questa intricata e delicatissima vicenda ritorni alla ribalta proprio in questo momento? O invece esiste un legame? In altre parole, lo scandalo dei dossier potrebbe essere uno strumento di pressione per influenzare i nuovi incarichi? È un sospetto che molti nutrono, insieme a quello di una frizione tra “cordate” di esponenti dei servizi interessate ad alcune poltrone. Lo strumento di pressione rappresentato dalle informazioni riservate si aggiungerebbe al fatto che poter indebolire alcuni partiti attraverso “rivelazioni” giornalistiche mirate, alla bisogna, può fare sempre comodo. Gli anni della “seconda repubblica” lo hanno ampiamente dimostrato.



Va osservato poi che l’inchiesta nasce da un esposto presentato a fine 2022 dal ministro della Difesa, Guido Crosetto, un dicastero in primo piano nella scacchiera delle nomine. Anche questo un caso? A ciò si aggiunge la contiguità tra il procuratore antimafia Melillo, custode delle carte, e l’area politica della sinistra: il libro Il sistema dell’ex magistrato Luca Palamara ne parlò diffusamente. In più, a suo tempo, a soffiare sul fuoco sono stati due quotidiani non certo vicini al centrode

stra, Domani e Il Fatto Quotidiano. E ora un giornale di destra, La Verità, scrive di legami strettissimi tra gli indagati, in particolare il finanziere Striano, e tre cronisti proprio del Domani.

Benché la catena di trasmissione tra stampa di sinistra e certa magistratura sia ben oliata, questo caso mostra che non si tratta soltanto di uno scontro politico che pure colpisce duramente il centrodestra. Nel perdurante silenzio del Quirinale – un silenzio strano, visto che sotto intercettazione abusiva sono finiti dei politici – alcuni dei “dossierati” stanno meditando sull’opportunità di costituirsi parte civile nel procedimento. È una mossa che consentirebbe da un lato di cautelare se stessi e i partiti, lasciando aperta una porta per richiedere eventuali risarcimenti, e dall’altro di domandare per i propri avvocati l’accesso agli atti. E poter così consultare direttamente la mole di carte ancora coperta dal segreto, per impedirne una “gestione” a senso unico.

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