L’inchiesta Equalize ha portato alla luce una struttura che spiava la vita politica italiana, e non solo quella, a diversi livelli. Una vicenda che pone un problema serio alla democrazia, anche alla luce di altre indagini simili che hanno evidenziato la presenza di soggetti che entravano indebitamente nelle banche dati più riservate, acquisendo dati senza che ne avessero il diritto. Emerge, spiega Luciano Violante, ex magistrato, già presidente della Camera, l’esistenza di una sorta di Terzo Stato che cerca di condizionare la vita politica italiana. In attesa di conoscere quale sarà l’esito finale dell’inchiesta, occorre alzare il livello dei controlli, un compito che spetta soprattutto all’Agenzia della cybersecurity, che dispone di eccellenti professionisti: ne va anche del prestigio internazionale dell’Italia e della nostra sicurezza.
Di dossieraggi, simili nella sostanza a quello di Equalize, sono piene le cronache di questi ultimi mesi. Qual è il vero pericolo che si nasconde dietro vicende del genere?
Detto un po’ rozzamente, sta emergendo la presenza di una sorta di Terzo Stato. Il Primo Stato è quello della politica, dei partiti, del parlamento e del governo; il Secondo è quello della magistratura, il Terzo è quello di soggetti apparentemente legali che adoperano le tecniche digitali per condizionare la vita economica, sociale, le relazioni tra le persone, le imprese e forse anche la vita politica. È questo Terzo Stato che sta emergendo: coloro che acquisivano illegalmente informazioni a Roma e coloro che lo facevano a Milano non sono diversi. Fanno lo stesso “lavoro”. Risulta che di fronte a una società fondata sui dati non abbiamo le difese adeguate, anche dal punto di vista culturale. La società digitale è diversa dalla società analogica; ha un’altra cultura. È come avere una Ferrari e pensare di poterla guidare come un’utilitaria. È un limite di molte società democratiche.
Soprattutto in quest’ultima vicenda si ha la sensazione che la struttura di spionaggio potesse rispondere a qualcun altro. Questo Terzo Stato può essere legato agli altri due? Può essere collegato, ad esempio, con i servizi segreti?
Il gruppo di Milano pare dedito soprattutto agli affari, al business; il gruppo romano, invece, alle relazioni. Una differenza che corrisponde alle caratteristiche delle due città: a Milano si fanno gli affari, a Roma si tengono le relazioni.
Sì, ma c’è qualcuno dietro allo spionaggio oppure i presunti responsabili sono quelli che ci indicano finora i risultati delle inchieste?
I servizi segreti quando fanno bene sono ignorati, ma quando succede qualcosa, a torto o a ragione, diventano i capri espiatori. Non si può parlare a vanvera di organismi la cui reputazione è fondamentale anche nelle relazioni internazionali. Naturalmente, quando ci sono le prove, i servizi si criticano, ma le illazioni e i sospetti creano solo problemi a tutto il Paese.
Queste inchieste suggeriscono la necessità di un maggiore controllo o anche di leggi diverse?
Sono d’accordo con il ministro Piantedosi, le leggi ci sono. E poi non è mai accaduto che l’aumento delle pene minacciate dissuada dal commettere illeciti. Il criminale fa un calcolo costi-benefici: valuta se i benefici effettivi siano maggiori dei costi eventuali. E poi opera. Credo che nelle nostre banche dati più importanti si debbano individuare quali sono i punti deboli e intervenire su quelli. Un lavoro amministrativo. Per esempio, aumentando i check periodici sulle banche dati, compresi i tentativi di intrusione pilotati per monitorare la reazione del sistema.
Finora c’è stato un limite nella sorveglianza?
Non so se ci sia stato un limite di sorveglianza o una particolare abilità da parte di queste persone: i dati sono beni preziosi, bisogna avere questa consapevolezza. Non ritengo, comunque, che ci sia bisogno di leggi particolari: molto spesso in politica si crede di aver risolto dei problemi con nuove leggi. Ma può succedere che così si creino nuovi problemi senza risolvere i vecchi.
Questo Terzo Stato è composto da cellule che sono staccate fra di loro?
Per adesso non lo sappiamo; quello che emerge con nettezza è che a Milano facevano gli affari e a Roma si occupavano di relazioni. Bisogna vedere se anche a Roma facevano business e se anche a Milano si costruivano relazioni. Sappiamo ancora poco; pronunciarsi definitivamente su fatti che si conoscono parzialmente può far cadere in errore.
Gli autori dello spionaggio fanno riferimento a qualche parte politica o conducono autonomamente le loro attività?
Non mi pare che ci sia un uso partitico o politico generale di queste azioni. C’è stato nel passato, con i vecchi servizi segreti, prima delle riforme. Ma c’era una situazione nazionale e internazionale completamente diversa. Non mi pare che oggi ci sia un indirizzo politico: ma sappiamo ancora troppo poco. Erano solo affari o c’era altro? A Roma ci sono ancora degli aspetti da chiarire: il finanziere che agiva nella capitale ha raccolto 224mila documenti. Li ha tenuti tutti per sé? Pare che abbia subito un procedimento disciplinare, ma le persone coinvolte nell’inchiesta a Milano sono agli arresti domiciliari.
Ci sono elementi che inducono a sospettare qualcosa?
Non è questione di sospetti. Bisogna ricostruire la verità; non è un lavoro facile.
Comunque, per affrontare la situazione la priorità è esercitare un controllo più accurato?
Sì, un check periodico anche con tentativi di intrusione costruiti ad hoc al fine di capire, ad esempio, se una banca è perforabile o meno.
Ci sono le strutture e le risorse adatte per farlo?
C’è l’Agenzia per la cybersecurity, ed è fatta anche di persone competenti e capaci; sono sufficienti. Bruno Frattasi (il direttore generale dell’Agenzia) è un prefetto di grande esperienza e così i suoi collaboratori più stretti, capaci e fedeli alla Repubblica. Se il personale non è sufficiente si potrà provvedere.
C’è un pericolo reale per la democrazia?
Quando un Paese sa che in un altro Paese, anche amico, c’è una banda di persone che è capace di penetrare nelle banche dati più riservate di quel Paese, cerca un rapporto con quella banda. Non parlo di Paesi avversari, della Russia e della Cina, ma anche, appunto, di amici. Ogni Paese cerca di aumentare il numero di informazioni sui concorrenti relativamente all’industria, al commercio, alla difesa e ad altro ancora. Fa parte del gioco.
Nell’ultima inchiesta si parla di contatti con israeliani e anche con esponenti della criminalità.
Aspettiamo di vedere cosa viene fuori. Stiamo guardando a un pezzo di realtà; non ci è stato comunicato tutto. Riflettiamo; sarà compito dell’autorità giudiziaria farci sapere qualcos’altro, quando sarà possibile.
(Paolo Rossetti)
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