Raffaele da Giugliano è tosto. Ha sbaragliato i Casalesi, governato l’Autorità nazionale anticorruzione, è stato a un passo dal Quirinale. Cantone per anni ha avuto il roboante cognome assimilato al terrore. Arresti prima e poi norme, regolamenti, delibere emesse a spron battuto per eradicare la corruzione dagli uffici pubblici. Poi, per riposarsi, se ne è andato a Perugia a fare il procuratore capo. Un posto tranquillo, se non avesse competenza esclusiva sulle ipotetiche responsabilità dei colleghi magistrati di Roma. Ufficio preso subito dopo la bufera Palamara che nelle sue mani appare sempre più come un venticello di mezza stagione.



Ora viene fuori che si deve occupare di un maresciallo della Finanza che, brutto birbone, andava zufolando nei dati riservatissimi di non si sa quante decine di “potenti” italiani. Le gustose informazioni, come tartufi di montagna cercati con cura, finivano nel piatto di giornali e non si sa di chi altro. Ora la cosa è curiosa. A parte capire se l’ipotetico reo non si professerà colpevole sostenendo di essere depresso e di aver fatto tutte le ricerche sui conti e sui fatti dei potenti per noia, patteggiando una piccola pena, resta da capire come sia possibile che nelle stanze dell’Antimafia, il luogo più protetto del Paese, che ha una potenza infinita di fuoco e potere, che può sapere tutto di tutti, un maresciallo qualunque, per non si sa quanti mesi e non si sa per quante volte, sia entrato e uscito dai sistemi informatici tirando fuori ogni ben di Dio di notizie senza che nessuno, ma proprio nessuno, se ne accorgesse, prima che Crosetto, si vede un po’ contrariato, non si facesse sentire dall’alto del suo ministero.



Insomma, che accade in quelle stanze, chi ne governa procedure e controlli e a quale scopo. Come è possibile che sia anche in astratto possibile che un modesto impiegato possa avere accesso a tutte le informazioni di ciascuno di noi, cederle (pare) ed essere fermato (si presume) solo dopo che ha pestato la suscettibilità (e ci mancava) del ministro della Difesa. Che fine hanno fatto procedure, protocolli, indicazioni. Se uno qualunque di noi prova ad usare un pc senza loggarsi per bene quello strumento resta un pezzo di metallo. Se non si indica perché si deve accedere e a cosa e su autorizzazione di chi, nessun impiegato può avere nessuna informazione o dato.



Come può essere, e perché, che all’Antimafia nessuno controlli o metta dei blocchi per accedere a tutte queste notizie o che i sistemi siano così permeabili. Questa è la questione. Non il maresciallo che ha fatto l’accesso abusivo, ma chi non ha vigilato perché ciò accadesse, e se non lo ha fatto, capire perché. E se non si capisce perché, ritenere responsabile lui, non solo il maresciallo, della mancata custodia di un bene così prezioso come sono le informazioni di ciascuno di noi, potente o meno, su fisco, sui conti e sui movimenti bancari.

Raffaele da Giugliano avrebbe tutte le carte in regola per devastare i responsabili e fare piazza pulita come fece con Schiavone e Iovine dei Casalesi. A cui ha regalato ergastoli e galera. Lui, da presidente, e di fatto fondatore dell’Anac, conosce a menadito protocolli e procedure e sa che questo non dovrebbe accadere neppure nel famigerato comune di Roccapiripizzoli di Sotto, il cui sindaco andrebbe sotto inchiesta se un suo dipendente si mettesse a curiosare per vedere chi paga o no le multe.

Ma si sa, ogni luogo ha il suo genius, e non sappiamo se Raffaele da Perugia sarà all’altezza dei severi moniti e delle focose requisitorie che, forse, quando era da Giugliano venivano meglio. Steremo a vedere. Per ora chiudete i conti in banca e usate il contante entro i limiti di legge. Sennò qualche maresciallo curiosione e un po’ depresso può raccontare a vostra moglie come spendete i vostri soldi. Che siate potenti o meno.

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