Probabilmente non c’è nulla di nuovo rispetto a venti o trent’anni fa. La fabbricazione, la svendita e la compravendita dei dossier è ormai una radicata tradizione italiana, che è servita, a suo tempo, a smantellare la politica e si avvia, se non si ferma questo “commercio”, a mandare in pensione il resto di democrazia che è rimasto in questo Paese.



Il minimo che si richiede, anche se in passato è servito  a poco, è l’istituzione al più presto di una Commissione d’inchiesta, già proposta dal ministro della Giustizia Carlo Nordio.

Attenzione, in questa circostanza. Specificamente, il Guardasigilli ha proposto la costituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta “con poteri da inquirente per analizzare una volta per tutte questa deviazione che si era già rilevata gravissima ai tempi dello scandalo Palamara e che adesso è diventata ancora più seria”. In questo caso, una Commissione più importante per i suoi poteri inquirenti. Si vedrà.



In realtà, questo tipo di proposta appare del tutto giustificata dal fatto che “il passaggio di notizie o il commercio” avviene da anni. Insomma qui sono stati rubati (è il termine esatto?) una valanga di dossier dalle “banche dati” della Direzione nazionale antimafia (DNA) e il fatto, inevitabilmente, riguarda anche la politica, non solo la magistratura.

Giovedì scorso, il ministro Nordio ha detto di aver ascoltato con attenzione le audizioni di Giovanni Melillo, procuratore generale Antimafia che ha sostituito il penstastellato Cafiero De Raho e del procuratore di Perugia Raffaele Cantone.



Sia Melillo sia Cantone sono stati perentori e hanno dipinto un quadro allarmante, al punto che il ministro Nordio è rimasto impressionato sia per il caso della DNA, sia perché a suo parere nel caso del dossieraggio, nelle notizie e nelle intercettazioni che sono state fatte filtrare, si è creato una sorta di grumo che avvelena il sistema giudiziario.

Dice Nordio: “Io ho sempre denunciato questa criticità da vent’anni. Ora siamo arrivati al punto cruciale, forse di non ritorno”. Già questo lunedì si potrebbe avviare l’iter parlamentare, facendo presente che Nordio non è solo in possesso delle dichiarazioni di Melillo e Cantone ma anche di altri documenti piuttosto compromettenti che riguardano le attività del pubblico ministero Antonio Laudati e del luogotenente della Guardia di finanza Pasquale Striano.

E, in tutto questo, appare veramente curioso che gli “scoop” più significativi, in questa valanga di documenti (si parla di migliaia di dossier) siano principalmente (soprattutto nella maggior parte) fatti dal Domani, il giornaletto diretto da Emiliano Fittipaldi e di proprietà di Carlo De Benedetti, ex editore di Repubblica dei tempi d’oro e sedicente “tessera numero 1” del Partito democratico, noto al pubblico per altre questioni: come il suo assaggio al Banco Ambrosiano di Calvi, il suo allontanamento dalla Fiat per una questione di acquisto improvvido di azioni e infine anche per i suoi affari come Infostrada che lasciò tutti esterrefatti.

Certo De Benedetti è un “democratico” che vuole, in un periodo di crisi economica, che si faccia la “patrimoniale”, forse dispiacendosi che lui paga le tasse in Svizzera.

Ma senza divagare sul personaggio, perché bisognerebbe citare alcuni libri come quello di Marco Borsa sui capitalisti italiani, che venivano definiti “capitani di sventura” e De Benedetti era il primo della lista, vi è da dire che l’uomo è sempre stato al centro di polemiche non semplici.

Ora, poiché il suo Domani, non sfondando sul mercato editoriale, rischia di sfondare qualche cosa di più importante, c’è qualcuno tra i parlamentari che non vorrebbe solo una Commissione d’inchiesta con poteri inquirenti, ma vorrebbe che lo stesso De Benedetti venisse in Parlamento a spiegare o a suggerire come si riescono a carpire tante notizie dalla “banche dati”. Anche per non inguaiare alcuni suoi giornalisti, di cui tre sono già inquisiti.

Sarà un caso, senza dubbio, ma dossier, intercettazioni e notizie riguardano soprattutto ministri e esponenti dell’attuale maggioranza di centrodestra, o di destra, come specificano alcuni personaggi dei tg de La7.

Saranno probabilmente tutte coincidenze e questioni di secondaria importanza, ma certo in Italia questo asse tra magistrature, altri personaggi e una stampa di parte sembra convivere da anni.

Si ricorda una famosa battuta di Francesco Cossiga, che, quando il Corriere della Sera anticipava le notizie che uscivano dal Tribunale di Milano e finivano sul Corriere, sosteneva che c’era un innamoramento tra il “gatto del portiere del Palazzo di Giustizia di Milano e la gatta del portiere di via Solferino”.

È sempre stata una battuta che un direttore del Corriere come Paolo Mieli non ha mai digerito facilmente, e recentemente, in una trasmissione televisiva, Mieli ha detto che tutto si risolverà in un “polverone”.

Aspettiamo quindi fiduciosi tutte le spiegazioni (e magari le omissioni necessarie). Noi non vorremo dare ancora una volta ragione a Bettino Craxi, quando definì la famosa “rivoluzione di velluto” nostrana, cioè il golpe di Mani pulite, un “golpe mediatico-giudiziario” e molti ci hanno creduto, anche all’estero.

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