Il coccodrillo di F. Dostoevskij (Adelphi, Milano 2022) è un racconto umoristico straordinariamente bello. Venne pubblicato in un periodo di creatività feconda, nel 1865, sulla rivista Epocha. L’anno prima era uscito Memorie del sottosuolo e quello dopo venne dato alle stampe Delitto e castigo. Il testo mette in luce un Dostoevskij tagliente, che con la sua ironia attacca il perbenismo progressista.
Un funzionario pietroburghese, Ivan Matveič, viene inghiottito da un coccodrillo, mentre cerca di fargli il solletico. Da qui si dispiega una storia esilarante carica di significato. Che fare? L’accaduto non risulta un evento drammatico, ma un fenomeno da sfruttare. Il principio economico è alle base della vita. Perciò, bisogna attenersi alle leggi sottostanti e non solo, evitando di essere additati dall’opinione pubblica. In un primo tempo la moglie dell’ignorante e mediocre malcapitato vorrebbe sventrare il coccodrillo. Le sue urla e il suo grido vengono fraintesi dall’io narrante, il quale pensa che la donna voglia sferzare il coccodrillo per avere ingoiato il marito. Sferzare una bestia è un desiderio retrogrado, in grado di suscitare la reazione della stampa e della cultura dominante.
Il proprietario tedesco dell’alligatore, invece, preoccupato dall’accaduto, accusa lo sventurato di aver provocato la sua bestia. Ben presto, però, la situazione incredibile rientra nell’ordinario. L’abitudine ammazza i fatti, anche quelli più drammatici. Tutto può essere inghiottito, tutto può essere metabolizzato, tutto può diventare normale, anche l’estremo.
Serena Vitale, curatrice del testo, scrive: “Nel personaggio di Ivan Matveič protagonista del (e nel) Coccodrillo molti avevano ravvisato la caricatura di Nikolaj Černyševskij, teorico del socialismo utopico, filosofo materialista, democratico rivoluzionario, giornalista, (pessimo) scrittore, da poco confinato in Siberia come “criminale di Stato”. E nel comportamento di Elena Ivanovna, maestra di pizzicotti e seduzione, avevano colto somiglianze con quello, scandaloso per l’epoca, della moglie di Černyševskij, Ol’ga Sokratovna: non lo aveva seguito in Siberia e si comportava da “donna emancipata” (il marito stesso, del resto, le scriveva che “l’astinenza sessuale è dannosa per l’organismo femminile, non devi essermi fedele”).
Ebbene Dostoevskij, come ricorda l’illustre slavista, rifiutò, sia pure a ritardo, l’identificazione dei protagonisti del racconto con i personaggi a lui contemporanei. Il genio russo scrive, a sua difesa: “Avevo forse un odio personale per Černyševskij? Per prevenire questa accusa, ho raccontato apposta, più sopra, della nostra breve e cordiale conoscenza. Si dirà che è troppo poco e che nutrivo un odio segreto. Ma allora si tirino fuori i motivi di quest’odio, se si ha qualcosa da tirar fuori” (F. Dostoevskij, Diario di uno scrittore, tr. di E. Lo Gatto, Sansoni, Firenze 1981).
Dal testo, “una specie di imitazione del racconto di Gogol’ Il naso” (F. Dostoevskij, Diario di uno scrittore, cit.), ricco di contenuti e intenso nella scrittura, ad ogni modo, emerge una considerazione amara e vera a un tempo: l’uomo può restare nel nulla. Ivan Matveič, infatti, sceglie di stare nel vuoto del coccodrillo. “Chiedi come mi sono installato nelle viscere del mostro? In primo luogo, con mia grande sorpresa, il coccodrillo si è rivelato completamente vuoto” (F. Dostoevskij, Il coccodrillo, cit).
Nella bestia, il funzionario fannullone diventa sovrano, cambiando ruolo e posizione sociale. Si organizza e si accomoda, non desiderando più uscire. Preferisce essere un fenomeno da baraccone, mettendosi finalmente in vista, dopo tanto anonimato. La situazione, peraltro, va bene a tutti: il nulla seduce con le lusinghe e le prospettive inedite tutti i personaggi. La moglie di Ivan Matveič potrà fare la civetta senza controllo. Il proprietario tedesco riuscirà a guadagnare tanto per l’insolito spettacolo. La Mutter avrà un ruolo sempre più dominante. Il protagonista potrà esporre ideologie astratte ed attrattive, grazie alla fenomenale novità. Le persone a lui vicine, poi, potranno godere dello spettacolo continuo e del salotto perenne a casa della moglie. Tutti complici dello stesso pesante stridore: l’uomo nel mostro.
Mentre in Assassinio sull’Orient Express molte persone uccidono lo stesso uomo per motivi diversi, nel racconto dostoevskiano lo stesso nulla viene scelto da tanti personaggi per fini differenti. Ogni individuo, tuttavia, è terribilmente solo. Tutti, infatti, scelgono per un tornaconto personale che rende prigionieri e non fa comunicare con gli altri.
E quando l’amico chiede a Ivan che ne è della sua libertà, dopo la scommessa di restare nel coccodrillo con il rischio di essere ingoiato definitivamente, il protagonista dice: “Sei uno stupido. Sono le creature selvagge quelle che amano l’indipendenza, mentre i saggi amano l’ordine, ed è proprio l’ordine che manca”.
Il nulla porta, insomma, a suo modo, un ordine: la comodità. Va tutto bene, va bene tutto. Tutto, tranne la cosa più importante cioè la libertà. La libertà è, infatti, una rottura dell’ordine dato. Essa mette in moto un fattore decisivo, cioè l’io, proprio l’io. Ma la libertà non è frutto di uno sforzo morale, va domandata. Giona nel ventre della balena prega intensamente e ha paura; Ivan, invece, non vede il suo stesso dramma. Ivan, l’antiprofeta, preferisce l’inerzia dello status quo. Dostoevskij ci indica, invece, un percorso diverso dal funzionario pietroburghese. Per uscire dal nulla e attraversare la vita affollata da sedicenti voci illuminate, politicamente corrette, ma antiumane, occorre un desiderio autentico e grande.
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